La brughiera è morta. No, tranquilli, Newsic non è diventato un centro smistamento necrologi, ma questa è la Generation di oggi: Dead Meadow. La brughiera è morta, appunto. Un nome, un programma, sembrerebbe. Che dire, proprio allegri non sono. Proprio facili ed immediati non sono. Proprio da canticchiare non sono. Però sono bravi. Particolari, meglio. Al traguardo del quarto studio album, “Feathers”, i Dead Meadow si sono fatti in quattro. Nel senso che hanno aggiunto alla lineup del trio originale il chitarrista Cory Shane, che ha portato il suo personale contributo alle tessiture melodiche di Jason Simon (chitarra e voce – quando c’è), Steve Kille (basso e sitar), Stephen McCarty (batteria); ed il risultato è un gergo rock poco usato al giorno d’oggi, un blend curioso di riff alla Hendrix e Sabbath, ritmi dolcemente ondulati, un rock blues molto sporco, naturale ed istintivo. Let’s go back to 1998. I Dead Meadow arrivano da Washington, DC, e spuntano come margheritine al sole del post punk dalle ceneri dei The Impossibile Five and Colours, il gruppo precedente di Jason, Steve e del batterista Mark Laughlin che troppa fortuna non deve avere avuto. La psichedelia anni 60 e l’hard rock successivo sono l’intelaiatura base, su cui si innestano curiosamente l’amore per gli scrittori Tolkien e Lovecraft; è tutt’un’altra musica. Dead Meadow, appunto. Il debutto è un EP di sei pezzi nel 2001, semplicemente “Dead Meadow”. Seguono nel 2002 “Howls From the Hills” e l’anno successivo “Shivering King and Others”. Ballate psicopatiche, psichedeliche, psicolabili, una botta di barbiturico al blues rock più vivo, con un tocco “southern” che non guasta mai. Nel 2002 però il batterista Mark Laughlin lascia, e al suo posto subentra Stephen McCarty. “Feathers” presenta agli aficionados dei Dead Meadow un suono un po’ più sperimentale, ma allo stesso tempo più accessibile; virtuosismi ossessivi che si godono appieno in versione live, rock n’ roll classico ma con quel tocco inconfondibilmente vintage, che è sempre e comunque di moda. Epici e maestosi. Vissuti e molto strumentali. Un’onda che avanza e mette paura. Il bello è farsi travolgere. Elisa Bellintani 22 aprile 2005 |