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 ALIEN ARMY
ALIEN ARMY ALIEN ARMY ... IL TURNTABLISM HA IL SUO COLLETTIVO
ALIEN ARMY ... IL TURNTABLISM HA IL SUO COLLETTIVO
Uno dei collettivi di turntablism più conosciuti e apprezzati è in piena fase creativo/rivoluzionaria. I prossimi progetti che riguardano sia il gruppo che i singoli DJ/musicisti che ne fanno parte sembrano infatti essere basati più sulla musicalità che sulla pura tecnica. Skizo e Tay-One sono quindi pronti per sorprenderci ed evolvere ulteriormente la loro creatura. 
 
A qualche mese dall’uscito del loro DVD che testimonia il tour a supporto dell’ultimo album “The End”, Groove ha incontrato DJ Skizo, principale fondatore e mente di Alien Army. Nel corso della carriera il collettivo ha subito numerosi mutamenti, mantenendo sempre alto il livello tecnico-qualitativo delle esibizioni/produzioni e arrivando a  toccare nuove vette nel turntablism. Ci sono comunque delle novità in arrivo, la crew si appresta a mutare, a evolversi, un po’ come accadeva nel famoso cartone animato Dragon Ball. Alien Army GT lascerà quindi il posto a...? È proprio Skizo che ci parla di quel che accadrà.
 
Quali sono attualmente gli obiettivi di Alien Army?

Skizo: Alien Army è un collettivo di sperimentazione che dal 1996 si è sempre basato su di un nucleo centrale composto dal sottoscritto e da Tay One. Nel corso degli anni abbiamo sperimentato, invitato e collaborato con diverse persone, ci sono stati cambiamenti di intenti e di line-up. Inizialmente ci rivolgevamo solo alle gare di turntablism, cercando di farci conoscere anche all’estero. Successivamente abbiamo spostato la nostra attenzione anche al mercato discografico, pubblicando diversi dischi in Italia e fuori dai suoi confini. Ora l’obiettivo di Alien Army è quello di sperimentare ancora di più, arrivando a toccare diverse tipologie di pubblico. Non ci rivolgiamo più solamente agli appassionati del mero esercizio tecnico sul giradischi, lo abbiamo già dimostrato ampiamente in alcune date dal vivo che abbiamo fatto di recente.

Volete quindi darvi una sorta di “anima” , rendere il tutto più musicale e accessibile?

S: Tempo fa siamo arrivati ad un punto in cui ci siamo chiesti se stavamo facendo veramente della musica. La risposta alla domanda che ci siamo posti è stata che per farla dovevamo ancora correggere qualche virgola. Le mie esperienze personali come Perception e quelle di Tay One sul progetto Rajasfull hanno contribuito a cambiare il nostro approccio al giradischi. In questo senso siamo arrivati a cogliere l’essenza, al voler eliminare il superfluo puntando alla musicalità, in modo che il pubblico possa sentire quello che facciamo, piuttosto che vederlo.

Cosa vi ha fatto capire che in Alien Army c’era da fare un’ulteriore evoluzione?

S: Analizzando la situazione del mercato discografico abbiamo scoperto che c’era una sorta di stasi. Un sacco di gente nel nostro giro cercava di fare musica, ma quello che ne scaturiva era solo un compromesso tra il giradischi e il musicista. Ci siamo detti che era il momento di cambiare le cose, cioè non dovevamo solo suonare con i musicisti stessi, ma interfacciarci direttamente con loro, producendo le cose per intero. Si trattava di dare la libertà al musicista stesso, non chiedendogli di suonare insieme a noi, ma per noi e con noi! Da qui è nata l’esigenza di confrontarci e di arrivare a capire che molte cose nella nostra musica erano superflue. Per dirla breve per noi valeva il motto “il semplice gesto è la cosa che appare più difficile, ma è anche quella di più facile comprensione”. Volevamo arrivare direttamente al pubblico nella maniera più semplice e lineare, ma con un certo gusto musicale. Ovviamente per giungere a tutto ciò è necessario un grande allenamento, una tecnica e una padronanza del giradischi. Ma se un tempo ci voleva una grande preparazione ai piatti, ora quell’allenamento è diventato un bagaglio tecnico necessario per avere la giusta confidenza nel fare cose che appaiono semplici, ma che hanno dalla loro parte un grande gusto musicale.

Che tipo di tempistiche ci saranno per assistere ad una ulteriore evoluzione di Alien Army?

S: Quando parliamo di progetti futuri, si tratta di cose già in lavorazione. Quello che abbiamo fatto di recente era un sorta di test per capire se stavamo andando sulla giusta strada. A darci conferma sono state le reazioni positive del pubblico che ha assistito alle prime date del tour al Bulk e al TPO. Qui abbiamo capito che dovevamo spingere ulteriormente l’acceleratore e imboccare al più presto la nuova via...

Quindi quale sarà la prossima line-up di Alien Army?

S: Sicuramente ci saremo io e Tay One ai piatti, Lorenzo Feliciati al contrabbasso, basso, tastiere e synth. Ci sarà anche una cantante, ma non voglio svelare ulteriori dettagli: questa sarà una sorpresa! Probabilmente cambierà anche il nome di Alien Army.

Avete in ballo anche diversi progetti solisti...

S: Ce ne sono parecchi! Cominciamo dal mio progetto denominato Perception che coinvolge il sottoscritto, Pierpaolo Ferroni alla batteria e Lorenzo Feliciati al contrabbasso. Si tratta fondamentalmente di jazz-core, di improvvisazione. Il disco è stato registrato in full-analogic e in presa diretta negli studi di Bologna, dove c’è stata pochissima post-produzione in modo da rimanere il più tradizionali possibile. Per intenderci, si tratta di un progetto ben studiato, dal carattere molto etereo, simile a colonne sonore come “Il tè nel deserto”. Ho in ballo poi un altro progetto, anch’esso da poco terminato, che riguarda elettronica e downtempo sperimentale. Qui ho coinvolto il fotografo Mario Ermoli. La musica è infatti basata sulla fotografia, le foto sono state l’ispirazione fondamentale e saranno il completamento dell’opera sia a livello di packaging del disco, sia di presentazione dal vivo della musica stessa. Riguardo l’hip hop vero e proprio, ho prodotto un disco che vede allineati sette tra i migliori artisti australiani e neozelandesi e che sarà completato anche da alcuni nomi italiani. L’ultimo progetto riguarda poi una compilation che uscirà per la PL Records, una raccolta dei migliori DJ emergenti italiani, tra cui campioni ITF e DMC tutti molto bravi e con buon gusto musicale. Sono rimasto piacevolmente sorpreso quando si è trattato di scegliere i DJ per questo disco, ho scoperto infatti che in questo ambito c’è stata una buona maturazione e che tutti hanno una mentalità tale da non relegarli esclusivamente in un settore cosiddetto di nicchia come può essere il turntablism. Non mi meraviglierei di vedere in futuro qualcuno di questi DJ impegnati nel rock, nell’elettronica, piuttosto che nel dub o altro. Sono molto fiducioso per quel che riguarda il futuro dell’Italia. Infine c’è Tay One, il quale ha da poco pubblicato il suo disco “Sbarbi live in Praga” e tra poco uscirà con Rajasfull, un progetto che lo vede coinvolto con Bruno Briscik, polistrumentista che si occupa di suonare il violoncello, il contrabbasso e le tastiere.

Sembra che tu oggi abbia un atteggiamento più che positivo verso la scena musicale a cui fai riferimento, cioè l’hip hop. Sei sempre stato così, oppure si tratta di un cambiamento recente?

S: Non posso negare di provenire direttamente da quel mondo, ma posso sicuramente affermare che questo non mi ha di certo modellato a sua immagine. Sono io che ho costruito qualcosa al suo interno! Chiaramente ho subito anche io delle influenze, ma probabilmente il fatto di stare spesso all’estero, in Australia, mi ha reso più positivo. Questo non vuol dire saper accettare il compromesso, ma piuttosto fare musica con un minimo di decenza, essere capaci di guardarsi allo specchio ogni giorno e rispondere affermativamente a domande tipo: “Stai veramente facendo quello di cui parli? Stai veramente costruendo qualcosa?”. In questo caso mi ritengo ottimista. Rispetto alla globalità dell’hip hop invece non so se il mio atteggiamento sia lo stesso, non per le capacità tecniche e per il bagaglio umano delle persone che vi fanno parte, ma piuttosto per la scuola nel suo totale. La scuola italiana è un po strana, si è un po’ persa. Quella del giradischi invece no, ci sono ancora dei punti di riferimento che puoi vedere e toccare, che stanno cercando di andare avanti. La cosiddetta “scratch music” per quanto mi riguarda, se si parla di mercato musicale, è morta. C’è qualcos’altro in atto, non a parole come è avvenuto negli ultimi dieci anni, ma in concreto. L’interfacciamento tra DJ e musicista è un dato di fatto, una realtà!

L’accostamento tra strumenti veri e propri e giradischi potrebbe far storcere il naso a qualche purista...

S: Già l’aver messo in piedi un progetto come Alien Army ha significato per noi scostarsi in parte da questa logica. Per noi il DJ non è mai stato solo il signore che metteva il dischi, ma una figura che poteva stare anche al centro del palco per far musica. Alien Army si mette nell’ottica di poter sostituire i musicisti e viceversa. Ovviamente ci sono delle collaborazioni, ma nulla avviene a compartimenti stagni. È un po’ difficile da capire come concetto, però stiamo cercando di arrivare a questo punto.

Come nasce quindi la musica di Alien Army?

S: Ognuno di noi parte da idee personali che non si sviluppano subito appieno, ma vengono lasciate libere di essere completate da terzi. Dipende da chi è coinvolto nella canzone. Produciamo il tutto, lo mettiamo su computer e poi dividiamo gli strumenti, ci scambiamo le parti. Rimane comunque sempre l’idea che l’improvvisazione è la cosa più bella, ma solo in fase di preparazione del disco, non dal vivo. Nei nostri spettacoli l’improvvisazione non c’è mai stata e l’abbiamo sempre combattuta. Sin dall’inizio tutto quello che abbiamo sempre fatto sul palco fatto lo sapevamo al 100%! Ovviamente all’interno della consapevolezza c’è anche un piccolo spazio per l’improvvisazione, ma il resto è tutto studiato.
 
Andrea “Teskio” Paoli
 
 
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