Dobbiamo molto al Canada. A parte lo sciroppo d’acero e l’hockey su ghiaccio, musicalmente parlando questo incredibile Paese ci ha regalato Alanis Morissette, Celine Dion, Michael Bublé, Avril Lavigne e, last but not least, gli Hot Hot Heat. Bella scoperta. Già scoperti con “Make Up The Breakdown” nel 2002, stiamo preparandoci a ri-scoprirli ora con un nuovo lavoro, “Elevator”, anticipato dal godibilissimo singolo “Goodnight Goodnight”. Per chi si fosse sintonizzato soltanto nel 2005 e si fosse perso un paio di passaggi fondamentali, gli Hot Hot Heat vengono dalla British Columbia, ed inizialmente (retrocediamo sulla linea del tempo fino al 1999) non erano proprio un granché; passata pressoché inosservata la fase del synth-punk, anche perché a cantare era Matthew Marnik, oggi uscito dal gruppo. Sembra brutto da dire, però da quando Matthew ha fatto le valigie tutto pare girare nel verso giusto per gli Hot Hot Heat. Voce del gruppo diventa il tastierista Steve Bays, e ci si chiede come mai il cambio non sia stato fatto prima; molta gavetta sarebbe stata evitata, probabilmente, data l’alchimia innegabile che si innesta tra i componenti rimanenti, ossia Steve, Dustin Hawthorne (basso) e Paul Hawley (batteria), più Dante deCaro (chitarra). Il punk si stempera in pop- rock, ballabilissimo, divertente e dal sound fresco fresco, con quei testi un po’ acidelli che fanno sempre quell’ironico di classe. I paragoni con Elvis Costello e Robert Smith si sprecano, all’uscita di “Make Up the Breakdown”, e l’onda d’urto degli Hot Hot Heat si espande fino a lambire le coste della vecchia ma sempre desiderosa di novità Europa. Letteralmente travolta dalle vibrazioni eclettiche targate HHH. Dopo aver passato il 2003 in tour ed il 2004 a registrare materiale per il nuovo disco, senza acuna fretta e senza alcuna necessità di cavalcare l’onda del successo ecco arrivare finalmente il secondo capitolo della saga Hot Hot Heat. Che, manco a dirlo, è ovviamente hot. Sempre grazie ad una dipartita eccellente; questa volta a lasciarci (musicalmente) è Dante deCaro, e la maledizione del “liberati degli orpelli” pare scatenarsi ancora una volta sugli HHH. Al suo posto arriva Luke Paquin. “Elevator” esce la prossima settimana e si preannuncia già come una mina vagante nelle classifiche di tutto il mondo. Molto rock e molto cool, “Elevator” è forse un pelino meno eccitante di “Make Up the Breakdown”, nel senso che dà meno dipendenza, però si fa rispettare ed ascoltare con molto piacere. Che è poi il bello del rock, no? Racconta Steve a proposito della genesi del disco, “Ci siamo accorti che ci sono due modi di fare un secondo album. Puoi ripeter più o meno quello che già inizialmente avevi fatto oppure puoi sperimentare, crescere, cambiare, ed è questo l’approccio che abbiamo adottato. Ironia della sorte, cercando di fare passi avanti ci siamo ritrovati ad affrontare quello che inizialmente ci aveva messo insieme. E così ne è uscita una versione elevata del nostro sound originale”. Una versione elevata che però strizza sempre l’occhiolino ai venerdì sera in discoteca, pur accentuando le virgolette dark che rendono l’ensemble molto interessante. Provare per credere. Proviamo? Elisa Bellintani 12 aprile 2005 |