Sono una delle realtà più raffinate ed ispirate della scena rock alternativa italiana, apprezzati trasversalmente dalle più disparate tipologie di pubblico. Ci stiamo riferendo ai Marlene Kuntz, formazione di Cuneo dall’appeal sonoro accompagnato alla patina poetica dei testi; ascoltare i Marlene è prima di tutto un’esperienza dell’animo, un sentire a diversi livelli di conoscenza, dall’orecchio, alla pelle, al cuore. I Marlene Kuntz si esprimono indugiando nei contrasti. Contrasti forti, ossimori fonosimbolici che si bilanciano nella tessitura armoniosa dei suoni, e che si ritrovano nel nuovo disco, “Bianco Sporco”. Che loro raccontano così: “questo disco è bianco perché bianchi come fantasmi sono i personaggi dei testi. Questo disco è bianco sporco perché il loro lenzuolo non è immacolato. E questo disco è bianco perché è assenza di colori e sua somma, nascita, rinascita, morte, purezza, silenzio, rivelazione, illuminazioni. Ed è bianco sporco perché tutto ciò è vero fino a un certo punto. Infine questo disco è bianco perché celebra il pudore. E quando lo fa spudoratamente … si sporca”. Insomma, se vi piace giocare con le parole e godere dello spessore del significato così come del significante, i Marlene Kuntz fanno per voi; loro in “Bianco Sporco” citano e strizzano l’occhio a Guido Gozzano, Carlo Emilio Gadda e Nick Cave. Già il nome la dice lunga su con chi abbiamo a che fare. Marlene Kuntz, un accostamento dolce-aspro, un suono modulato su diverse frequenze. Marlene evoca chiaramente Marlene Dietrich, emblema di dolcezza decadente, musa teutonica di estetica essenziale. Kuntz è sì un cognome tedesco, ma origina da “Kuntz”, canzone degli americani Butthole Surfers che è storpiamento slang per “fighe”. Ai Marlene (ancora senza Kuntz) piaceva la canzone, piaceva il suono, piaceva l’accostamento. Et voilà, le fighe di Marlene. La storia dei Marlene Kuntz inizia dal rumore, puro noise. Riccardo Tesio, Luca Bergia, Cristiano Godano partono con l’avventura nel 1989-90; si aggiungerà poi per strada Dan Solo. E’ dura, durissima, e, nonostante colpi di fortuna (come la conoscenza e la stima di Gianni Maroccolo) e costanza ammirevole, i Marlene non sfondano. Bisogna aspettare il 1994, quando grazie al C.P.I. (Consorzio Produttori Indipendenti) esce “Catartica”, l’album di debutto, confermato nel 1996 da “Il Vile”, che li fa diventare punto di riferimento cult per il rock alt-indie, e 3 anni dopo “Ho Ucciso Paranoia+Spore”. A fine 2000 arriva il contratto con una major; i primi ad accorgersi di loro sono quelli della Virgin, che fanno uscire nel 2000 “Che Cosa Vedi”, album che contiene tra l’altro il duetto con Skin degli Skunk Anansie, “La Canzone Che Scrivo Per Te”. Da lì scatta l’innamoramento del grande pubblico, che li continua a scoprire anche con “Senza Peso” (2003); e che ora si ritrova per le mani “Bianco Sporco”, altra pioggia nel pineto dell’edonismo rock narciso. Il suono dei Marlene Kuntz è inconfondibile. Non fosse altro perché riescono a costruire alti momenti verbali senza sforare mai nell’autocompiacimento di nicchia; li ascolti e pensi molto semplicemente “che bello”. Bellezza. Questa è la chiave. “La fuga è nella bellezza. Ma dove e come si andrà a finire non è dato saperlo. Dita incrociate”. Non ci resta che abbandonarci all’incanto del rock dei Marlene Kuntz. Senza remore. Elisa Bellintani 18 marzo 2005 |