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 ARCADE FIRE
ARCADE FIRE ARCADE FIRE ... TRA BULGAKOV E SUPERMARIO
ARCADE FIRE ... TRA BULGAKOV E SUPERMARIO
Provate a farvi un giro per le riviste specializzate di mezzo mondo e spulciate tra le classifiche del miglior album del 2004. Tra nomi che vanno e vengono, solo uno non mancherà mai: The Arcade Fire.
L’ensemble di Montreal, guidata dai coniugi Win Butler e Régine Chassagne, si è resa infatti protagonista del più clamoroso caso di passaparola telematico degli ultimi anni. Braccati dalle major e amati da mostri sacri come Bowie e Byrne sono da mesi sulla bocca di tutti. A marzo il loro album d’esordio, “Funeral”, esce finalmente anche in Italia.


Avete mai avuto paura di scrivere qualcosa di troppo personale, qualcosa che vi avrebbe fatto sentire “nudi” di fronte a chi ascolta? Dopotutto è noto che voi due siete marito e moglie e quindi per voi questo pericolo può essere ancora più grande.


W: Ciò che scriviamo è molto meno autobiografico di quanto la gente pensi. Questo credo sia anche un equivoco dettato dal titolo del disco e da ciò che ci sta dietro (“Funeral”, il titolo dell’album, è stato dettato da una serie di lutti che ha colpito i membri della band durante la lavorazione). Credo comunque che la gente che ascolta tenda comunque a ritenere che ciò che scrivi parli di te. Qualunque sia la tua intenzione, la gente penserà questo.
Ci sarà dentro ovviamente qualcosa di personale, ma non parlerei di “nudità”, e di sicuro non ci troverai quella specie di privacy da spazzatura.


Aldilà delle facili associazioni del “suona come”, il vostro disco pare più essere influenzato da esperienze artistiche che vanno oltre la musica. Quali sono le vostre influenze extramusicali?


Win: Le prima cosa che mi viene in mente sono i film di Terry Gilliam, come “Brazil” ad esempio.
Poi ho studiato molto la letteratura russa. Adoro la novella “Noi” di Zamjatin, “Il maestro e Margherita” di Bulgakov, Platonov ed in generale tutto ciò che la cultura russa ha prodotto negli anni ’20 e ’30… poi c’è Dostoevskij naturalmente…


Il vostro disco è uscito oltreoceano nello scorso autunno. Era un periodo particolare in cui molti musicisti si sentivano in diritto di dire la loro sulla politica. Voi non sentivate questa esigenza?


Régine: Sai, credo che parlare di politica in una canzone sia una cosa molto difficile da far bene.
W: Noi abbiamo suonato in giro per gli USA nei due mesi appena passati e ci siamo accorti che canzoni come “Power Out” e “Rebellion (Lies)” venivano vissute dal pubblico in modo particolare, quasi come se venissero caricate di altri significati. Sono canzoni scritte in un altro luogo e in un altro tempo, e proprio questo ti fa capire che è più importante il messaggio per così dire universale, slegato dalla contingenza degli eventi, piuttosto che urlare “Ehi Bush, sei una testa di ca**o”. Lo stesso Bob Dylan, che giustamente viene preso ad esempio in questi casi, credo si sia sempre comportato in questo modo.
E poi scusa, sinceramente, mi dici come può, ad esempio, la politica estera di Bush ispirarmi per scrivere una canzone? Al massimo può ispirarmi una grande incazzatura.
Sono dell’idea che piuttosto che scrivere di ciò che non va, dell’assenza di qualcosa, sia meglio scrivere di ciò che può colmare quest’assenza.


David Byrne, nel suo diario on line, ha speso parole bellissime per voi. Inoltre racconta che siete stati in contatto negli ultimi tempi che che un mese fa avete suonato insieme a New York. Com’è stato?



W: Oh, è stato meraviglioso. Noi spesso suoniamo una cover dei Talking Heads, “This Must Be the Place”. É sempre stata una delle mie preferite. Byrne è salito sul palco e… cantarla insieme a lui è stato grandioso. Abbiamo avuto un sorrisone stampato in faccia per tutta la canzone.


Non è un segreto, poi, che i Talking Heads sono la band a cui venite più spesso paragonati. Credi che ciò abbia influito sul vostro avvicinamento?


W: Non lo so, lui è semplicemente venuto ad un paio di nostri show, poi tutto è successo naturalmente. Inoltre, se devo essere sincero, la vicinanza con i Talking Heads è stata un po’ troppo enfatizzata dalla stampa. Certo, c’è una ovvio legame nella ritmica e nel cantato di pezzi come “Laika”, ma la maggior parte delle canzoni, secondo me, ha davvero poco a che fare con loro.


Guardando alcuni video dei vostri live, è palpabile un fortissimo scambio di energia tra voi ed il pubblico. Un pubblico che sta lì, a pochissimi centimetri da voi. Come riuscirete a conciliare questo bisogno di contatto con chi ascolta, con i mastodontici festival in cui, probabilmente, vi ritroverete a suonare quest’estate?


W: Prima di tutto non è sicuro che suoneremo nei festival estivi. Sono questioni che stiamo ancora valutando. Il festival non è la nostra dimensione. Noi siamo a nostro agio davanti ad un pubblico che va dai 100 ai 1500 spettatori, di più sarebbe davvero eccessivo.
Ad ogni modo rappresenterebbe una bella sfida. Vedremo.


Dico questo perché in caso vuoi suonaste nei festival, magari vi ritrovereste a suonare di fronte, per esempio, al pubblico venuto apposta lì per i Green Day, o per gli Oasis… Avete mai pensato ad una possibilità del genere?



W: Oddio no. Se parteciperemo a festival, saranno comunque eventi con un certo tipo di artisti e, di conseguenza, di pubblico. Cosa che, tra l’altro, è già successa.
Non apriremo mai per i Green Day o qualcosa del genere, io personalmente non lo farei mai, non avrebbe senso suonare per un pubblico che se ne fregherebbe totalmente di ciò che suoniamo.

Una curiosità, Regìne: ho letto da qualche parte di un vostro show in cui tu hai suonato per intero il tema di SuperMarioBros, tutti i livelli. Puoi raccontare com’è andata?

R: (scoppia a ridere) Ah sì, mi pare che quella volta avevamo avuto dei problemi tecnici, con le chitarre se non sbaglio. L’interruzione era particolarmente lunga e per riempirla decisi di suonare il tema di SuperMario. Poi mentre suonavo, Richard (Richard Parry, tastierista-chitarrista della band) imitava alla perfezione tutti i movimenti di SuperMario, saltellava, acchiappava le stelle, cadeva…

Come facevi a conoscere quella musica?

R: Io in genere imparo tutto ad orecchio, e in vita mia ho sentito quella musichetta così tante volte che conosco a memoria tutto, compresi tutti gli effetti sonori dei bonus.



Antonio Casillo

8 marzo 2005
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