Maximo Park. Il quintetto degli equivoci. L’impronta art-rock e la voce profonda con echi timbrici da caverna umida e fredda fanno immediatamente pensare ai Franz Ferdinand, e per associazione geografica alla Scozia. Eccovi servito l’errore numero uno. I Maximo Park sono inglesissimi di Newcastle, pardon, di Newcastle Upon Tyne. E poi c’è quel nome, quel nome con quell’esotica “x”, e i colori a contrasto rosso/nero che identificano la band, e uno associa in automatico: Maximo Park, Gorky Park, Russia, St Petersburg (Maximo Park è uno dei parchi più amati dai pietroburghesi, ma di St Petersburg, Florida), rosso-comunismo. Errore numero due in agguato, il nome Maximo Park non viene da un (già imbarazzante) equivoco sulle sconfinate lande slave bensì da un parco di Cuba che risponde al nome completo di Maximo Gomez Park; il chitarrista Duncan stava un giorno guardando un documentario di un personaggio che giocava a scacchi e discuteva dei problemi del mondo in questo parco di Cuba, e si è folgorato: “Ehi, bella idea fondare un gruppo in cui discutere dei problemi della vita che possano interessare tutti!”, il “Gomez” è caduto come un’inutile appendice e così è rimasto Maximo Park. Che suona decisamente bene. E, a dire il vero, anche loro suonano decisamente bene! I Maximo Park sono Paul Smith (voce), Duncan Lloyd e Archis Tiku (chitarre), Lukas Wooller (tastiere – sì, un gruppo rock con le tastiere!) e Tom English (batteria). Come già detto, l’ispirazione è quel sound rockeggiante dalla zaffata scottish che di questi tempi fa tanta tendenza. Quello che fa particolari i Maximo Park è il passo precedente la canzone, ossia l’ispirazione. Forse che i cinque si lascino trascinare nel vortice di amore, dolore, sofferenza e disagio? No! Il motivo scatenante che li spinge a fare musica è lo sgomento, lo stupore delle piccole cose quotidiane; si parte dal particolare per arrivare all’universale, ma signori, per favore, non perdete di vista il particolare! Questo il dogma dei Maximo Park. Semplice e geniale, un tocco di realismo sociale in mezzo a tante pennellate astratte, per non perdersi in testi che parlano di cose a noi sconosciute. Il tocco di genio si sente, anche se, ammettiamolo, non c’è nulla di miracoloso da scoprire. Certo è che i Maximo Park sono testimonianza, assieme ai Futureheads, della rinascita musicale del North-East, un moto d’orgoglio di terra inglese che si ribella all’innegabile dominazione scozzese. C’è rabbia travestita da energia, una rabbia che non è distruttiva ma spinge ad andare avanti, a non mollare; dice Paul: “Se arrivi a controllare questa potenza che ti senti dentro, riesci a trasmettere al pubblico almeno un briciolo dell’energia che c’era al momento della composizione della canzone. E questa è una cosa incredibile che la musica ti permette di fare!”. La scoperta dell’acqua calda, direte voi; eh, ma quanti poi effettivamente riescono a trasmettervi qualcosa? I Maximo Park ci riescono eccome. E lo fanno servendosi di hook da urlo, quasi pop per l’effetto che sortiscono su chi ascolta. Come ben si sente nel singolo di debutto “Apply Some Pressure”, infettivo e a presa rapida. Per non parlare delle bolle di magma blurp blurp di “The Coast Is Always Changing”, solare e tempestosa. I giri di chitarra si arrovellano quasi fino a combaciare con i giri della voce di Paul, e questo mano nella mano di strumenti e cantato fa molto headbanging. E che headbanging sia! I Maximo Park sono ideali per fare caciara, caciara ma con stile. Ah, nota bene: il disco di debutto deve ancora uscire. Uscirà, tranquilli – non siamo in grado di darvi un countdown ma siamo già tutto un fremito all’idea! Ma-xi-mo! Ma-xi-mo! Elisa Bellintani 22 febbraio 2005 |