Una NW Generation “decisamente particolare”, quella di questa settimana. L’artista che vi vogliamo presentare è Antony, assieme al suo gruppo, i The Johnsons; signore e signori, ecco a voi dritto dritto dalla calda scena di New York Antony and the Johnsons! La prima cosa che balza all’occhio di questo Antony è l’immagine indubbiamente peculiare. Aspetto androgino marcato da un trucco lineare e pesante ad hoc, Antony assomiglia ad una bambola di porcellana, di quelle che le nonne mettevano in divano in mezzo ai merletti e che hanno inquietato la vostra infanzia. Un po’ inquieta, eh sì, con il sesso confuso, il look stravagante, le movenze arcuate e rallentate, però appena apre bocca … è un universo di poesia che ti si riversa addosso, sedativo per cuori tormentati, palliativo per sensazioni agrodolci in riflusso. La voce di Antony è incredibilmente tranquillizzante, dolce, morbida, ci parla di universi in penombra rischiarati da un sottile fascio di flebile luce. Una voce incantevole, che lui ci tiene a sottolineare, utilizzando come complemento d’arredo il solo piano, o al massimo un leggero accompagnamento di archi. Una voce che è strumento per espandere verso l’infinito quelle che sono le tematiche comuni a tutti: prima su tutte, il dolore. Perché l’amore è importante, è bello, ma finisce; e tutti, prima o poi, esperiamo il dolore, morale e talvolta fisico. Il dolore è per Antony soprattutto solitudine, questo fare i conti con quello che ti succede dentro quando soffri, indipendentemente dall’aiuto che ti può dare chi ti sta vicino. La solitudine è davvero il punto centrale del nuovo disco di Antony and the Johnsons, “I Am A Bird Now”. Lo si intuisce immediatamente osservando la copertina dell’album: la foto del 1974 di Candy Darling, musa di Andy Warhol, riversa sul suo letto in attesa della morte liberatoria dalla leucemia, con i fiori bianchi ad illuminarle la stanza e le lenzuola del letto che la risucchiano come mulinelli d’acqua. Una foto emblematica, divenuta simbolo di tutte le vittime di malattie devastanti abbandonate alla loro solitudine. L’isolamento fisico e l’isolamento morale. Il vuoto intorno. Il fossato tra il macromondo universale ed un micromondo privato. Ed Antony scava, scava questo fossato e sprofonda, indugia mollemente nel ristagno e nelle pieghe dell’emozione più intima. E ne cava fuori un gioiello in musica. Anche se, bisogna riconoscerlo, Antony non è il classico tristone tutto immusonito che si isola dal resto del mondo. Anzi. Ad Antony la compagnia piace, eccome. Tanto più che su “I Am A Bird Now” troviamo le ospitate eccellenti di Devendra Banhart, Boy George, Rufus Wainwright, il grande Lou Reed e le liriche di Marc Almond dei Soft Cell. Si circonda del meglio, Antony, non pochi e buoni. Dopo il debutto omonimo l’anno passato, “I Am A Bird Now” continua sulla linea dell’introspezione di qualità, ma non di elite. Antony and the Johnsons sono una realtà da tenere d’occhio, non fosse altro per il fatto che danno spessore all’impatto visivo non indifferente dell’eccentrico Antony. Per anime in pena. Elisa Bellintani 17 febbraio 2005 |