La storia artistica di Madeleine Peyroux è di quelle che fa davvero piacere raccontare, perché dimostra come la tenacia e la passione spesse volte riescano a ripagare ampiamente un cantante che incontra mille difficoltà non tanto per sfondare, quanto per restare a galla. Madeleine è una di quelle che può gonfiare il petto e dire, orgogliosa, “io ci sono”. Lei c’era, non ha mollato e c’è. Ci spieghiamo meglio. Madeleine Peyroux, americana e francofila, si è affacciata sulle scene musicali che aveva 25 anni. Niente di strano, se volete. Un paio di dettagli, però: Madeleine fa jazz, che a metà anni ‘90 non era proprio un genere che andasse per la maggiore. Madeleine veniva dalla strada, nel senso che non era cresciuta coccolata da scuole di musica ma si era fatta “on the road” (ha suonato anni per le stradine del Quartiere Latino di Parigi). Madeleine proponeva e propone tuttora grandi classici del jazz, ma nella veste di re-interprete, più che di interprete. Salta all’occhio quindi che il suo disco di debutto, “Dreamland” (1996), abbia goduto ai tempi di un riscontro di pubblico e critica davvero incredibile; nessuna paura a confrontarsi con le grandi, anzi, a testa alta Madeleine ci propone la sua versione della “Vie En Rose” di Edith Piaf. Un po’ meno incredibile è il seguito della storia. Baciata dal successo, Madeleine sparisce. Otto anni di silenzio, non tanto voluti o motivati da crisi artistiche, bensì obbligati dal fatto che il jazz non tirava; di più, il suo stile richiama in maniera impressionante le contraddizioni meravigliose della ultima Billie Holiday, fumosità e pastosità, sogno e concretezza, essenzialità ed elaboratezza. Madeleine continua ad esibirsi nei club da Los Angeles a New York, ma i tempi non sono maturi. Poi ci fu lei. La rivoluzione Norah Jones, che trascina violentemente gli occhi del mondo su di lei e su un genere che fino ad allora sembrava poter essere solo d’élite, il jazz; dopo Norah ne sono venuti tanti(vedi Micheal Bublé, Diana Krall), e fra loro c’è anche Madeleine Peyroux, ri-scoperta dalla Rounder Records nel 2003. Che non è una nuova leva, ma un graditissimo ritorno. Un nuovo album, “Careless Love”. Una nuova sfida interpretativa, con il pianoforte e la sua voce a completa disposizione delle emozioni dei Grandi, quelli con la G maiuscola; tra questi, Bessie Smith (“Careless Love”), Elliott Smith (“Between The Bars”), Hank Williams (“Weary Blues”), Leonard Cohen (“Dance Me To The End Of Love”) e la Josephine Baker di “J’ai Deux Amours”. Uno sconfinamento del jazz nel blues, per quel particolare tocco che rende ogni suo pezzo così magico. Una nuova, straordinaria affermazione di capacità compositiva (segnaliamo “Don’t Wait Too Long”). Un’artista completa, insomma. Garbata, sottile, penetrante, di gran classe. E con un’immagine così “global” ma contaminata di essenze gitane, un mix irresistibile, un contrasto che fa di lei un personaggio tutto da scoprire. “Careless Love” ci sembra un buon inizio, per perdersi nei meandri profumati dei molteplici mondi di Madeleine Peyroux. Elisa Bellintani 7 febbraio 2005 |