Mettete un’isola a nord della Scozia, l’isola di Skye; ampie distese di erba e roccia a picco sul mare, cieli grigi e burrascosi, mare agitato e spumoso. Uno pensa, e cosa farà mai la gente su quest’isola? Come si esprimerà? Canti e balli tradizionali, musiche le cui note somatizzano l’atmosfera? Sì, anche. Poi vedi che da lì se ne esce un personaggio fuori dall’ordinario come Mylo, e resti a bocca aperta. Perché Mylo non fa folk, non suona la cornamusa, non sospira sull’infinito, ma fa dance; e dance sopraffina, di quelle che riempiono le piste dei club e che metti nello stereo a palla e ti ovattano il cranio dal mondo esterno.
24 anni, quindi pure giovanissimo, Myles MacInnes fa musica perché “è divertimento, e deve avere un certo impatto, perché altrimenti non ne vedo il senso”; divertirsi e divertire, se no meglio darsi all’ippica.
Per le mani Mylo ha il suo fido Mac G4, un paio di programmini ad hoc (Reason e Pro Tools sono gli intramontabili) e tanta, tanta creatività. Si siede nella sua stanzetta con metodo (ora che può permettersi di fare il dj solo quando ne ha voglia trova il tempo di dedicare anche un’intera giornata alla lavorazione di un pezzo), accende il computer, parte dai suoi samples (pochi ma buoni) e tesse la tela con pazienza e dedizione, moderna Penelope della consolle che attende pazientemente che la pista ai suoi piedi si affolli. Solo che non servono 10 anni, con Mylo.
Raccontare il sound di Mylo non è facile. Ricorda molto, forse troppo, l’elettronica raffinata dei Royksopp, però è smaccatamente dance pop; le sue canzoni danno veramente l’idea di essere complete, dal punto di vista formale e interpretativo (c’è una base, c’è un cesello di suoni da paura, c’è un testo), come se alle sue spalle ci fosse una band al suo servizio. Mylo è sofisticato, ti pugnala con i beat elettronici più intercellulari, ti illude con la spazialità dei bassi, e ti accontenta con inserimenti di classe. Mylo ti soddisfa, prima ancora di intrattenerti.
Il debutto è nel 2003 con “Wolves of Miami”, che è bella ma che è troppo “2003”; si sente, provare per credere. In parallelo esce il 7’’ “Destroy Rock n’Roll”, un beat schitarrato con una voce che ti ipnotizza con una lista di nomi grossi del rock – tutti da distruggere, dato che è arrivato lui … Un po’ megalomane, ma cosa c’è di male a riconoscersi talentuosi? E per fortuna che è rimasto convinto delle sue possibilità! Mandato in giro il pezzo “Destroy Rock n’Roll” a un paio di etichette la risposta non è delle più incoraggianti. Non mi volete? Ok, peggio per voi. Mylo si apre la sua personale Breastfed, e si autoproduce; tanto non è che abbia grosse spese, tra download illegali di programmi da Internet e nemmeno il problema di dover affittare uno studio di registrazione!
Dopo altri gustosi EP arriva finalmente a maggio di quest’anno “Destroy Rock n’Roll”, l’album di debutto; che odora molto di West Coast (sentire “Valley Of The Dolls” e “Sunworshipper” per credere, questa è pura California love), che presenta 14 tracce diverse tra loro ma col fil rouge del piacere edonistico dell’ascolto. E “Drop The Pressure” è incredibile per quanto ti stupisce e ti entra dentro. Oltremanica hanno già etichettato questo disco come uno dei dischi più hot del 2004, sicuramente da annoverare tra gli esordi più interessanti, e considerato che si tratta di dance pare già un bel traguardo. Noi non possiamo che consigliarvi caldamente di fare un giro sul suo sito, e constatare di persona quanto Mylo ci sappia fare. Elisa Bellintani
15 dicembre 2004
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