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US3 ... A TU PER TU CON UNA DELLE LEGGENDE DELL'ACID JAZZ |
US3 è un nome che non può non dirvi nulla. Non fosse altro che per quella one-shot hit storica che è stata “Cantaloop”, che nel lontano 1994 introdusse l’acid jazz nell’airplay delle radio di tutto il mondo. “Cantaloop” fece conoscere al grande pubblico una nuova realtà di genere musicale, che prima era confinato alle orecchie degli appassionati e dei conoscitori; gli US3 fecero insomma una piccola ma significativa rivoluzione.
Formatisi nel 1992 sotto la supervisione di Geoff Wilkinson, gli US3 si sono fatti conoscere con le campionature jazz; il che ha attirato l’attenzione di quelli della Blue Note Records, la famosa etichetta di jazz e blues, che ha accordato loro il permesso di frugare nel loro sconfinato catalogo. Il risultato è stato appunto “Cantaloop”, che ha come base il loop di un pezzo jazz.
Il successo mondiale di “Cantaloop” fa da traino ad “Hand On The Torch”, disco d’esordio del 1993, che garantisce per la prima volta il Disco di Platino ad un prodotto Blue Note.
Nel 1997 arriva “Broadway And 52nd”, ma iniziano anche i problemi con la Blue Note; alla fine il divorzio per vedute inconciliabili diventa inevitabile, e gli US3 firmano con la Sony. Le cose comunque non vanno meglio, ed è con gran fatica e tormento che nel 2001 esce il terzo album, “An Ordinary Day In An Unusual Place”. Il disco evidenzia la tendenza degli US 3 a continuare a cambiare, sia vocalists che sound, senza mai perdere identità e ricerca di un mood; ad ogni modo, arriva la rottura anche con la Sony. Finalmente arriva ora “questions”, il nuovo album degli US3; della formazione originaria è rimasto solo Geoff, che si continua ad attorniare di vocalists sempre nuovi. E puntuale arriva anche il cambio di etichetta: solo che stavolta Geoff si autoproduce con la sua Kwerk.
Libertà totale, finalmente. Sentiamo cosa è cambiato.
Comincio subito col chiederti una curiosità: il nome del gruppo, US3. Sì, forse non è più così adatto … “US” sta per noi, e 3 perché all’inizio eravamo in tre. Ora dei tre elementi originari sono rimasto solo io. Volendo, lo puoi anche vedere come me e gli altri due vocalist presenti sempre sui miei album; così, alla fine, siamo sempre in tre!
E il titolo dell’album, “questions”? Vuoi darci delle domande o suggerirci delle risposte? Il titolo del disco è venuto in maniera naturale. 5 canzoni sono delle vere e proprie domande, fatte da Mpho e da Reggi Wins (le due vocalist di “questions”). Dato che i testi li scrivono loro, e io lascio loro assoluta libertà in questo, ne sono uscite delle domande. E farsi domande, in qualsiasi campo, è l’atteggiamento dominante oggigiorno; ci sono tanti, troppi perché da chiedersi. E gli US3 non sono da meno.
A proposito delle due vocalist. Cosa ti è piaciuto di Mpho e Reggi che ti ha portato a dire “voglio loro”? Alchimia. Scintilla. Amore al primo ascolto, quella cosa che non sai spiegare ma che senti forte e chiaro. Tra l’altro di Mpho avevo sentito soltanto un demo, non la conoscevo neppure, però mi è bastato per capire all’istante “è lei”.
E perché la costante di tutti i tuoi album è proprio il continuare a cambiare cantanti, allora? Mi piace cambiare, mantenere vivo l’interesse e la curiosità verso quello che faccio. Mi piace sperimentare cose nuove, crescere, evolvere. Keep it going. E un nuovo vocalist è un nuovo stimolo, nonché un nuovo apporto al progresso artistico di US3.
Sei per il cambiamento, però su “questions” ci sono ben 2 remix di “Cantaloop”, il pezzo che nel 1994 ti ha imposto all’attenzione di tutto il mondo. Come mai? E’ una specie di celebrazione di 10 anni di successo? E’ un pezzo al quale, è innegabile, devo molto. Ma più che come una celebrazione, la presenza su “questions” di 2 remix di “Cantaloop” va interpretata sempre dalla prospettiva del cambiamento. Non rinnego il passato, anzi, riconosco il valore di quello che ho fatto, ma voglio usare il passato per creare qualcosa di nuovo per il futuro. Questi due remix sono nati da un concerto che ho fatto in Giappone, dove “Cantaloop” è uscita così, naturalmente, in versione soul e bossa nova; non erano niente male, il pubblico ha gradito e così mi sono detto “perché non usarle in futuro”? e così è stato.
Va sempre vista sotto la luce del cambiamento la direzione che la tua musica sta prendendo? Intendo, questo evidente abbandono delle campionature in favore della musica eseguita dal vivo? E’ vero. Sono partito con le campionature avendo accesso ad un catalogo incredibile (quello della Blue Note Records); non potevo non approfittare di questa ghiotta occasione … anche “Cantaloop” deve molto del suo successo alla campionatura che sta sotto. Però non si può vivere di sole campionature, per quanti pezzi belli ci siano non puoi continuare così. E così ho dato sempre più spazio all’improvvisazione, all’esecuzione dal vivo, alla musica che nasce nel presente. Il mio prossimo album, te lo posso anticipare, non avrà alcun tipo di sampling. Questo non è comunque un rinnegare il mio passato. E’ più un constatare “ok, ho fatto sempre così, mi è piaciuto, ma ora ho voglia di provare qualcosa di nuovo”.
E’ dal 1992 che fai musica. Ne avrai viste e vissute di tutti i colori, nel campo dei trend musicali. Come vedi la situazione del tuo genere oggi, l’acid jazz? Quando ho iniziato il jazz era una cosa per pochi eletti. Di gran classe, ma non per le masse. Poi man mano il jazz è stato riscoperto, e si è visto che non era poi così difficile accostarsi ad un genere che, in fin dei conti, non ha nulla di elitario. Oggi invece il jazz è addirittura inflazionato. Basta guardare cosa c’è in classifica: ogni mese viene fuori un nuovo cantante jazz che stravende. Posso dire che oggi il jazz fa quasi parte del nostro vivere quotidiano, della nostra cultura. Il che è una bella cosa, per uno come me che lo ha sempre valutato con parametri alti. Una sorta di rivincita personale su chi pensava che la strada da me intrapresa fosse strana e difficile.
Elisa Bellintani 19 ottobre 2004 |
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