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THE CLASH ... 25 ANNI DI LONDON CALLING |
Era la fine del 1979 quando in Uk usciva “London Calling”. Nuovo disco atteso dei Clash. All’epoca nessuno si sarebbe mai immaginato che i Clash avrebbero fatto un disco del genere.
Il precedente “ Give 'em Enough Rope” era stato un album tosto ma definito ai tempi troppo “pulito”. Ma soprattutto nessuno si sarebbe immaginato che Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon con questo disco segnasse la storia della musica in maniera così indelebile e precisa. “London Calling” era qualche cosa più di un semplice doppio 33 giri.
“London Calling” era un manifesto, una bandiera sociale, un modo di vita, una rivoluzione sia musicale che mentale. A distanza di 25 anni esce una ristampa che di fatto va a celebrare quella storica release. L’ edizione speciale per il 25° anniversario è un digipak con 2 cd e 1 dvd: il disco originario rimasterizzato, un secondo cd di rarità e il dvd di 45 minuti, un documentario della band dal titolo "The Last Testament".
Il dvd mostra immagini inedite, recentemente trovate, di Guy Stevens e dei Clash nello studio di registrazione, performance live mai mostrate prima, interviste a Mick, Paul, Topper e Joe e a Kosmo Vinyl che per la prima volta racconta la storia dal suo punto di vista.
I Vanilla Tapes, sono invece demo di London Calling conservati da Mick Jones e mai ascoltati prima, dove ci sono molti brani che non sono entrati poi nella scaletta del disco, oltre a "The Man In Me", vero inedito, cover di un brano di Bob Dylan.
Il tutto coronato da un fantasioso e ricco libretto con foto di Pennie Smith e note di Tom Vague.
Ecco la storia di “London Calling” scritta e raccolta da Pat Gilbert giornalista di Mojo e riportata nello speciale dedicato ai Clash sul sito della Sony Music.
Londra continua imperterrita a chiamare !!! “All’epoca nessuno si sarebbe mai immaginato che i Clash avrebbero fatto un disco del genere”, dice Mick Jones del loro terzo album, London Calling. “Non penso che avremmo potuto farlo diversamente, il che è interessante, perché molto del nostro materiale lo vorrei migliorare. Ma quel disco è venuto fuori alla perfezione.”
Sono passati 25 anni da quando i Clash hanno pubblicato quello che molti considerano essere il loro miglior disco e per celebrare l’avvenimento ripubblicano l’album – in origine un doppio – in una nuova confezione deluxe composta da 3 cd, con un bonus cd di materiale “smarrito” e un dvd che racconta la straordinaria storia di come il disco venne realizzato. London Calling è, naturalmente, famoso per essere il disco che Rolling Stone ha definito nel 1989 come “il più importante album degli anni Ottanta”. Da allora la sua fama come classico a livello del meglio dei Beatles, degli Stones, di Dylan e dei Led Zeppelin è cresciuta. Ogni volta che una rivista musicale o un programma tv fa una classifica degli “album più grandi di tutti i tempi” si può essere certi che London Calling è ai primi posti. Anche la sua copertina ha assunto un significato particolare: la foto di Pennie Smith del bassista dei Clash, Paul Simonon, che distrugge il suo strumento al Palladium di New York nel settembre 1979 è stata eletta nel 2001 “miglior fotografia rock di tutti i tempi”.
Come a sottolineare la forza di quell’immagine i pezzi del Fender Precision di Paul sono in esposizione alla Rock and Roll Hall Of Fame di Cleveland, USA.
Ma come ha fatto notare il chitarrista Mick Jones, all’inizio dell’estate del ’79 pochi potevano immaginarsi che i Clash erano sul punto di realizzare un album che avrebbe lasciato un’impronta così profonda nella storia della musica. In quel periodo la spinta del movimento punk originale – che gli stessi Clash e i Sex Pistols avevano lanciato nell’estate del ’76 – si stava affievolendo. I Pistols si erano sciolti nel gennaio ’78 e, dall’esterno, sembrava che i Clash avrebbero fatto la stessa fine. Avevano dei problemi con il loro manager e mentore, Bernie Rhodes, e stavano dandosi da fare per registrare un seguito al primo lp, The Clash, con il produttore americano Sandy Pearlman. Quando, nelle parole di Paul Simonon, Mick Jones e Joe Strummer vennero “rapiti” e andarono negli Stati Uniti per completare l’album, il rapporto del gruppo con Rhodes si deteriorò rapidamente e presto le loro strade si separarono.
Give ‘Em Enough Rope fu pubblicato nel novembre 1978 e fu ampiamente criticato per essere troppo “pulito”; nel frattempo il primo disco del gruppo non veniva pubblicato ancora negli USA perché non era sufficientemente pulito. La contraddizione di essere una band punk, integra e fiera, ma con l’ambizione di lanciare messaggi, era sul punto di far affondare il gruppo. Dove sarebbero potuti andare dopo il punk?
Dopo un breve tour americano nel febbraio 1979, i Clash si trovarono a Londra senza manager, senza un quartier generale (la loro sala prove a Camden Town era perduta insieme a Rhodes) e non avevano un piano preciso per il futuro. Seguì un periodo di grande incertezza. Cambiarono svariate sale prove ma nessuna aveva quell’atmosfera intima dello spoglio magazzino di Camden che era per loro come una seconda casa.
Dopo varie settimane di ricerche i due road manager del gruppo, Johnny Green e Baker Glare, trovarono per caso un posto in Causton Street, a Pimlico, dietro a quella che adesso è la galleria d’arte Tate Britain. Situata al piano superiore di un’officina meccanica malconcia, aveva tutti gli attributi giusti: nascosta, decadente e fuori dal giro dell’ambiente musicale.
“Era come un drive-in” ricorda Paul. “C’erano meccanici e macchine parcheggiate e gas di scarico. Si chiamava Vanilla. Abbiamo provato altri luoghi ma avevamo veramente bisogno di una base. Ci piaceva questo posto perché era in mezzo al niente, non c’era nessuno. Eravamo noi, Johnny e il Baker. Questa era la squadra.”
Da aprile a luglio i Clash provarono lì praticamente ogni giorno. Iniziavano intorno alle 13 e finivano intorno alle dieci di sera. Si instaurò ben presto una routine: alcune ore di lavoro, una partita a calcio e ancora prove fino alla fine della giornata.
Le partite a pallone si svolgevano di là della strada in un parco giochi per bambini. Gli amici del gruppo – Robin Banks, Terry McQuade, DJ Barry Myers, Chris Needs – si facevano vedere al momento giusto per le partite. Il grande senso di cameratismo si rifletteva nel forte legame musicale che si stava sviluppando al Vanilla.
“Le cose venivano in maniera naturale”, dice Mick. “Facevamo le cose che ci piacevano: musica, calcio e il resto. La vita.”
Paul: “Ci sentivamo molto vicini, avevamo appena finito un tour in America, non c’era più Bernie, eravamo di nuovo a Londra. Dal punto di vista musicale, avendo passato tutto questo tempo insieme, non potevamo che suonare meglio. Sembrava come se fossimo lì da mesi e mesi. Abbiamo trascorso tutta l’estate nel buio di quella stanza. Vedevamo il sole solo quando uscivamo per giocare a calcio.”
Il gruppo cominciava a fare esperimenti in molti generi diversi, jazz, soul, funk, reggae, rock e R&B. Era come se avessero preso consapevolmente la decisione di dimenticare le limitazioni musicali che l’etichetta “punk-rock” imponeva. Gli altri membri del gruppo concordano che è stata la bravura tecnica del loro batterista, di estrazione jazz, Topper Headon a permettergli di virare verso queste nuove direzioni. Paul: “Mick magari arrivava con un’ora di ritardo, e noi allora suonavamo di tutto mentre lo aspettavamo. Credo fosse la prima volta che suonavamo insieme creando nuove canzoni. C’era molta sperimentazione. Magari io ascoltavo una canzone alla radio o su un disco, arrivavo lì e mi mettevo a suonarla, poi si univa Topper. Oppure Mick o Joe arrivavano con qualche idea e ci lavoravamo sopra. Era come fare un doppio a ping pong ma usando la musica come pallina.”
Mick migliorò molto come arrangiatore. Vedeva le canzoni con l’aggiunta di fiati, organo e piano. “Se fai musica assieme a me la frase musicale che tu hai appena fatto mi suggerisce già dove andare dopo”, spiega. “Io me la sento già, quindi è come se già fosse lì per me. A ripensarci è stato un processo molto naturale, avevamo veramente fiducia in quel che stavamo facendo.”
Nel frattempo Joe Strummer stava molto attento a ciò che gli succedeva intorno. Se si scorrono i giornali del 1979 si possono leggere cose di quel periodo che in qualche modo sono entrate nei suoi testi: gli incidenti dei DC-10, gli attentati dell’IRA, il disastro nucleare di Three Mile Island.
Nacquero ben presto molte nuove canzoni, tra queste “Jimmy Jazz”, “Rudie Can’t Fail”, “I’m Not Down”, “Four Horseman”, “London Calling”. Paul compose la sua prima canzone – la reggaeggiante Guns Of Brixton. Si allenava anche sulle linee di basso del rockabilly del 1959 “Brand New Cadillac” di Vince Taylor & His Playboys, del vecchio brano ska dei Rulers “Wrong ‘Em Boyo” e del reggae di Danny Ray “Revolution Rock”. Gli altri si univano e ben presto queste canzoni sono diventate parte integrante delle sessions
Il gruppo si scaldava anche suonando il suo secondo singolo, “Remote Control”, che era stato pubblicato dalla CBS nel ’77 senza il loro consenso (“questa cosa non ci dovrebbe fare piacere, vero?” dice Mick ridendo. “Penso che a Joe non piacesse a livello simbolico, a causa di quello che era successo con la pubblicazione. Ma in realtà la canzone ci piaceva.”)
Verso la fine di giugno i Clash decisero che volevano registrare il nuovo materiale. Joe raccontò a NME che avrebbero voluto incidere qualcosa al Vanilla. “Stavamo bluffando”, dice Mick. “Stavamo tirando un po’ la corda con la casa discografica. Avevamo molto materiale, il nostro slogan per quel disco era ‘due al prezzo di uno’. Eravamo consapevoli del valore dei soldi.” Utilizzando un registratore preso a prestito i Clash registrarono varie di queste sessioni di prova. Si tratta dei leggendari “Vanilla Tapes” che si credevano perduti e dei quali le cose migliori sono presenti sul bonus cd della 25th Anniversary Edition. Alla fine di ogni sessione il gruppo si faceva delle copie in cassetta che Mick, in particolare, si portava via per studiarci sopra. E’ stata una delle copie finali in cassetta che Johnny Green, ubriaco, si dimenticò su un vagone della metropolitana. E’ stato il suo ricordo di questo evento nel suo libro “A Riot Of Our Own: Night And Day With The Clash”, che ha dato origine alla leggenda che i Vanilla Tapes fossero andati perduti per sempre.
Johnny stava andando a consegnare i nastri al produttore Guy Stevens, che aveva lavorato con i Clash per i loro primi demo del ’76. Guy era un eroe d’infanzia per Mick, avendo lavorato col suo gruppo preferito di quando era ragazzino, i Mott The Hoople. Guy era stato un personaggio influente della scena mod di Londra negli anni Sessanta. Ha collaborato con gli Who, i Free e i Procol Harum ed è stato anche in prigione per possesso di marijuana.
Nel corso degli anni Settanta Guy scivolò ancora di più nell’alcolismo e quando Joe lo scovò in un pub di Oxford Street nell’estate del 1979 le sue condizioni erano peggiorate. I Clash erano comunque convinti di volerlo come produttore per il nuovo album.
“Penso sia stata un’idea di Bernie quella di coinvolgerlo”, dice Mick. “Comunque ero contento anch’io, mi è piaciuto molto Guy e il suo modo di lavorare. Sentivo che tra noi c’era molta complicità, eravamo in fondo tutti degli outsider. Era l’ultima grossa chance per Guy e lui ci ha ispirato molto.” Mick: “All’inizio sembrava avremmo fatto un album con un 12” come bonus. Poi abbiamo convinto la casa discografica a fare in modo che il 12” diventasse un altro lp di 8 brani. Ci sono state un po’ di discussioni.”
Una sessione di ascolto per l’allora capo della CBS, Maurice Oberstein, terminò con Guy Stevens abbarbicato alla Rolls Royce di Oberstein, rifiutandosi di spostarsi fino a che Oberstein stesso non avesse detto che l’album era geniale.
La prima settimana di settembre i Clash partirono per il loro secondo tour americano, assieme a Micky Gallagher. Con loro viaggiava il disegnatore di NME Ray Lowry e a lui fu chiesto di disegnare la copertina per London Calling. Lui aggiunse le scritte in rosa e verde alla foto di Pennie Smith di Paul che rompe il suo basso per creare una sorta di richiamo al primo disco di Elvis. L’idea era che questo disco rappresentava il secondo avvento del rock and roll; nacque così una delle immagini più storiche della musica.
Tornati a Londra a novembre i Clash registrarono una nuova canzone di Mick, “Train In Vain”, per un flexidisc da dare in omaggio con NME. Ma quando la cosa non andò in porto la canzone venne aggiunta come bonus track a London Calling, portando il numero totale dei brani a 19 (era troppo tardi per inserire “Train In Vain” nei titoli della copertina, che era già stata stampata).
London Calling venne pubblicato in Inghilterra il 14 dicembre 1979 e andò al nono posto in classifica. Il mese seguente uscì in America e arrivò al numero 27. Nei mesi successivi alla sua pubblicazione vendette mezzo milione di copie.
Charles Shaar Murray di NME iniziò la sua entusiastica recensione con la frase: “London Calling è il primo album dei Clash che è veramente all’altezza della loro leggenda.” Aveva ragione. E come la leggenda dei Clash è cresciuta in questi 25 anni, così ha fatto la popolarità di quello che forse è il più bel disco emerso dalla scena punk di Londra della fine degli anni Settanta.
“Facevamo semplicemente la musica che ci piaceva”, dice oggi Mick Jones. “E ripensandoci ora è stata la cosa giusta da fare.” E il suo successo nei sondaggi? “Beh, è comprensibile” commenta Paul, “è un disco veramente all’altezza”.
Pat Gilbert, Londra agosto 2004 8 ottobre 2004 |
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