Dred lunghissimi, aspetto curato. Raphael rappresenta la versione 2.0 del reggae. Papà africano e madre italiana, si avvicina presto a Bob Marley. Sperimentatore di nuove vibes, alla voce segni particolari dovrebbero inserire: la sua capacità di vedere oltre le barriere di genere musicale. Un album, “Mind vs Heart”, che l’ha portato in giro per Italia, Europa fino ad arrivare in Messico, da cui è appena tornato.
Com’è andata in Messico?
“Molto bene. È stata un’esperienza molto eccitante. Mi sono trovato davanti a un uragano sfiorato sulla costa pacifica. Tutti molto accoglienti, la gente era lì per ascoltare me ed è stato stupendo”.
Cosa ti porti a casa da questo viaggio?
“Colori, sapori, persone stupende e un tatuaggio, voglia di conoscere meglio il sud America. Molto simile al nostro paese, molto calda, la gente sorride e ti regala molto quando viene toccata”.
Italia versus Estero, differenza di apertura verso il reggae fatto da un italiano?
“Diciamo che sono un caso a me stante. Sono mezzo italiano e mezzo africano. In Italia un po’ mi penalizza. Diciamo che un ascoltatore italiano in genere vuole identificarsi con qualcuno simile, in qualche modo, a lui e in qualche modo sminuiscono ciò che faccio proprio perché sono africano. All’estero ho trovato culture più aperte e predisposte, che valorizzano più la musica. Mi sono trovato in situazioni molto curate, pur non essendo un nome di rilievo. C’è molta differenza, non tanto per le persone perché penso che quando una cosa le tocca rispondono sia che ci si trovi in Italia o all’estero. La diversità maggiore risiede nelle infrastrutture, c’è più rispetto per la musica al di là dell’artista”.
Come ti sei avvicinato al reggae, la prima volta che hai sentito quelle famose “good vibes” di cui spesso si parla?
“Da bambino, mio padre ascoltava tanto reggae. Tra le cassette di Michael Jackson, c’è sempre stato questo Marley. Il tutto si è concretizzato verso i 15 anni, i miei genitori hanno provato a iscrivermi al corso di pianoforte, chitarra però quando ti viene imposta, quando lo senti dentro provi ad accompagnarti da solo, pur non essendo un chitarrista e ho molto rispetto per la categoria per cui non mi definisco tale. Nel 2010 ho iniziato il mio percorso da solista, ho collaborato con tanti artisti e mi sono spinto anche su stili diversi perché diciamolo in Italia è quasi impossibile campare solo con la tua musica. La musica deve essere movimento, ho paura di ciò che non cambia mai. È giusto esplorare ed espanderci. Ogni relazione lavorativa o meno è uno scambio che può farti crescere. Più viaggio più torno a casa piccolo”.
Hai collaborato con Zibba e Bunna per un progetto su Marley. Pregi e difetti degli altri due, legati al tour?
“Bunna, beh, è un po’ disattento, come pregio invece la generosità e la bontà. Zibba è un po’ disordinato, respira musica, è molto musicale e suonare con lui è naturale”.
L’esperienza musicale più estrema?
“Ho degli scheletri nell’armadio che neanche in un cimitero ce ne sono così tanti. Diciamo che la più estrema è aver prestato la voce per progetti house music e techno sotto pseudonimo. Paradossalmente ho imparato anche da quelle esperienze di studio”.
Hai un tatuaggio nuovo fato in Messico che riprende il titolo del tuo disco “Mind versus Heart”, tra mente e cuore chi vince?
“Non deve vincere nessuno. Il gioco sta nel tenere bilanciate le due parti”.
Come si fa?
“L’album è una riflessione proprio sul metodo per far sì che sia un equilibrio, lascia un finale molto aperto sulla questione. Il metodo secondo parte da una conoscenza profonda di sé stessi in primis, conoscere i propri limiti. Nessuno può aiutarti a capire il tuo io e il tuo mondo, in realtà quindi è tutto un lavoro personale. Il bello della vita è forse la continua ricerca di questo equilibrio”.
Bob Marley perché? Al di là dell’essere il King del reggae.
“Perché mi ha sempre affascinato questo piccolo uomo, partito da un’isola piccolissima senza risorse, mulatto in un paese dove il livore verso gli inglesi era palpabile, è riuscito da solo a portare la sua musica in tutto il mondo, creando un filone che prosegue anche ora. La forza di spirito di quest’uomo che sembra il calabrone che vola ma non sarebbe progettato per farlo. Ha avuto il coraggio di portare avanti il suo sogno, fare scelte impopolari”.
Esce spesso nei tuoi discorsi il “chi sei” , quindi chi è Raphael?
“Un giovane uomo, profondamente innamorato della vita. Curioso, con voglia di imparare e conoscere. La musica è la mia forma di espressione quella in cui al momento mi sento più a mio agio e libero”.
Elena Rebecca Odelli
19 settembre 2014 |