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 MARLENE KUNTZ
MARLENE KUNTZ Il ritorno con la maestria di 20 anni in più
IL RITORNO CON LA MAESTRIA DI 20 ANNI IN PIù

Maggio 1994, settembre 2014 . Vent’anni da “Catartica” e dall’esordio dei Marlene Kuntz, una delle tigri bianche nel panorama indie italiano. “Pansonica” è uno schiaffo a mano aperta diritto in faccia o, semplicemente, una macchina del tempo che collega passato e presente facendoti riassaporare l’atmosfera dei primi Marlene con la consapevolezza nel suono degli adulti Marlene Kuntz. 
Cosa avete pensato a maggio del 2014?
“Sono già passati vent’anni”.
Vent’anni fa i Marlene avrebbero mai immaginato 19 pubblicazioni entro il 2014?
“Quando è uscito Catartica, avevo ventisette anni e stavo già giocandomi un po’ la vita. Sapevo che doveva andare bene, ma non l’avventura che ci sarebbe stata dietro. Ero uno che ci teneva a fare un disco, un bel disco. Una volta era un traguardo fare un album, rispetto ad oggi. Questo aspetto ora è del tutto morto perché chiunque, con i nuovi strumenti, può farsi un disco. All’epoca essere musicisti aveva un suo valore, io volevo arrivarci e non ci siamo arrivati con un disco qualsiasi, bensì con Catartica che ha segnato un momento cruciale nella storia del rock italiano. Ci ha permesso di andare avanti e, disco dopo disco, abbiamo lavorato maggiormente e siamo cresciuti”.
“Pansonica” è una celebrazione emotiva di “Catartica”?
“Catartica compie gli anni. È abbastanza consueto festeggiare il compleanno del primo disco. La gente vede questo tipo di riedizione come una trovata furba da parte della band per vendere. Quando un disco così importante per noi compie vent’anni è giusto festeggiarlo e portarlo in giro, Catartica è un po’ il nostro pupillo. Mentre nel mondo questa pratica ormai è sdoganata, In Italia un certo tipo di pubblico diventa maliziosissimo, rompe le palle. Quindi devi farti venire un’idea. Gli Afterhours, quando hanno deciso di far cantare i loro pezzi ad altri, sono stati massacrati. Quando sei un musicista questo atteggiamento assurdo non solo ti fa ridere, ma ti rode anche dentro. Ci siamo scervellati e siamo andati a riprendere i brani che suonavamo al momento della creazione di Catartica. Ci siamo resi conto che era una buona idea. Il pubblico rompe i coglioni e ti spinge a trovare idee interessanti. C’è stata la possibilità che forse noi non avremmo mai saputo prendere in mano, di provare a tornare ad avere un certo tipo di mood. Ovviamente non l’avevamo più, non è facile andare in sala prove e provare a creare dei brani come li facevi vent’anni fa. Prendere dei pezzi che sono stati creati vent’anni fa e risuonarli oggi ci ha permesso di unire due epoche, come se non ci fossero vent’anni di mezzo. Siamo però più bravi di vent’anni fa a suonare questi brani”.
Qual è l’elemento caratteristico dei Marlene e il segreto della presa diretta?
“A me piace sottolineare che i Marlene sono una band molto netta e non paracula. Credo che sia questo l’elemento che caratterizza la nostra presenza nel panorama musicale italiano. Non abbiamo mai fatto niente che snaturasse la nostra genuinità all’approccio. Su questa frase mi aspetto venga sottolineato che i Marlene sono andati a Sanremo. Siamo andati perché è stata una nostra scelta, non imposta da nessuno. La presa diretta è una cosa fantastica, te lo puoi permettere se lo sai fare. Vuol dire che la band insieme deve suonare in un certo modo perché non ci siano errori e, se ci sono, non disturbino più di tanto. La presa diretta si fa quando la band è pronta per farlo. Questi brani li abbiamo suonati fino allo sfinimento in sala prove. Il suono ha un tiro diverso ora”.
Niente ha un testo molto forte, “Io volevo parlare di qualcosa, io volevo parlare di Niente”: che senso ha allora scrivere?
“La scrittura, senza fare voli pindarici, serve sia a chi scrive sia a chi legge per venir acceso emozionalmente in qualche modo. I Marlene Kuntz hanno un pubblico che si aspetta che i testi accendano la loro immaginazione”.
Capello lungo è la canzone che vi rimanda di più agli esordi?
“È una delle prime canzoni che era stata imbastita in una maniera molto grezza e sommaria dai Marlene, prima che io arrivassi. Quando arrivai scoprirono che avevo appena terminato la mia esperienza con un gruppo precedente, ho sbloccato la situazione ma il suono arriva da ognuno di noi. Capello lungo è uno dei primi brani dei Marlene, se non il primo”.
Parliamo della metrica testuale di Ruggine, come fai a incastrare così tante parole in musica?
“Non lo so. Mi fa piacere che lo noti e che sia una cosa che ti sorprende piacevolmente. Non siamo una band pop, siamo pretenziosi con le parole. Ciò implica una maggiore attenzione da parte del pubblico che ci segue. Per noi è un onore arrivare a Virgin, una radio nazionale, con la nostra musica perché ci rendiamo conto di non fare musica commerciale e su cui l’ascoltatore deve porre una certa attenzione”.
Se Sotto La luna fosse stata scritta oggi, “ho bisogno di parlare di me” cosa implicherebbe?
Ho bisogno di parlare di me è collegato a ogni singola parola della canzone. Per scrivere un pezzo come Sotto la luna dovrei vivere una tormenta amorosa di quel tipo, posso continuare a immaginare di avere un amico con cui sfogarmi. Non mettendo le parole a caso, ma studiandomele molto anche in funzione di una coerenza artistica, faccio fatica ad avere la stessa attenzione di vent’anni fa nella stesura di testi. In mezzo ci sono vent’anni di scritti, ho una maturità diversa e una consapevolezza maggiore”. 

Qual è la critica che vi ha scalfito di più in vent’anni?
“Vent’anni fa avevamo inaugurato un’iniziativa particolare, dietro ogni nostro disco c’era un invito ad inviarci delle lettere per dialogare. Sono arrivate una valanga di lettere, perché la lettera è l’emanazione carnale di una persona e non è così anonima. Non abbiamo mai ricevuto lettera dal suono caustico, come invece capita in Internet. Questo la dice lunga su cosa sia stata la rete per molte persone: un’occasione per diventare dei cafoni. Un po’ vigliacco, se vogliamo, ed è una specie di trend per una parte dell’umanità, che dà il peggio. Trovo veramente molto sciocco e molto inutile insultare pubblicamente sui social, non riesco mai immaginarmi alle prese con questo tipo di cose. La critica o frase più stupida ‘sono dei bolliti da tempo’, vorrei vedere questi ragazzotti alla nostra età. Non siamo bolliti, siamo energici ed è un peccato perché è un pregiudizio. L’importante per me è fare il musicista e farlo da viverci, purtroppo si deve passare anche da queste cose qua”. 
Elena Rebecca Odelli
17 settembre 2014
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