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 JACK SAVORETTI
JACK SAVORETTI Il giusto riconoscimento anche italiano
IL GIUSTO RICONOSCIMENTO ANCHE ITALIANO
Classe 1983, Jack Savoretti è un artista inglese con origini italiane. Tre album di successo crescente all’attivo (Between the Minds 2007, Harder Than Easy 2009 e Before the Storm 2012). Pane, furgone, gavetta e palchi di importanti festival continentali. Sul curriculum di Jack si evidenziano le seguenti voci: supporter di Bruce Springsteen all’Hard Rock Calling di Londra; apertura di Jools Holland; brani inseriti nelle serie tv “The Vampire diares” e “Sons of Anarchy”; partecipazione al video di Paul McCArtney Queenie Eye girato negli Abbey Road Studios con la brigata Meryl Streep, Johnny Depp, Sienna Miller, Jude Law, Gary Barlow, Sean Penn; volto Calvin Klein per alcuni scatti.
Abbiamo tolto l’etichetta del “cantante rivelazione”?
Spero di essere passato al gradino superiore. È dieci anni che suono in giro ed è sempre strano quando si pensa che sono saltato fuori dal nulla. In Italia in effetti sono arrivato “ieri”, da poco, ed è ancora nuova la nostra avventura qui.
Hai respirato arte in senso lato dalla nascita, tuo padre è stato attore e tua madre una modella.
Al di là di questo c’era sempre musica in casa. Ci è sempre piaciuta, vengo da una famiglia che ha sempre ammirato l’arte a 360 gradi.

Musicalmente, tra l’estero e l’Italia qual è stato il punto di congiunzione?
I miei ascolti viaggiano tra la California e l’Italia. Sono sempre stato ispirato dalla musica californiana degli anni ‘60 e ‘70 e insieme a ciò ho collegato la musica italiana: Lucio Battisti, De Gregori, Dalla, Guccini. Sono stati autori fondamentali per me. Mi hanno insegnato a capire cosa significa una canzone, al di là della parte musicale e strumentale. Seppur uso l’inglese per la lirica dei miei brani, mi ispiro alla teoria cantautorale italiana e la sua voglia di raccontare una storia con più visuali possibili. Un brano diventa un insieme di fotografie, invece che semplici versi ritmici, molto più vicini alla cultura musicale inglese. In inglese è più difficile, le parole non hanno una moltitudine di significati e panoramiche come invece succede con l’italiano. L’italiano è una lingua più sofisticata.
Sei riuscito a cogliere l’attimo?
A volte sì a volte no. L’analogia con la fotografia è perfetta in tal senso. Puoi scattare cento foto di un palazzo che vedi ogni giorno, un giorno, poi, ne scatti una che trasmette la completa bellezza di quel luogo. Segue un po’ la teoria del cercare di raccogliere più momenti possibili, poi arriva quello che per molti è considerato quasi un nonnulla e invece fai cogliere l’importanza di quel preciso istante. La musica e l’arte, secondo me, catturano quel colpo di fulmine.
Quale pensi sia stata la tua chiave di volta per quanto riguarda il tuo essere sbarcato “da ieri” (citandoti) in Italia musicalmente? L’Italia è sempre molto più esterofila che patriottica quando si tratta di critica qualitativa musicale.
L’album che è arrivato in Italia è il mio terzo album (“Before of the storm”) che ha preceduto questo Ep (“Sweet Hurt”). Quando l’ho scritto avevo molte influenze italiane, prima di “Before the Storm” seguivo più la corrente musicale americana, country. Per quell´album avevo deciso di ascoltare molta musica francese e italiana e stranamente “Before the Storm” ha toccato le corde giuste. Penso sia dovuto molto a Moccia che mi ha permesso di usare Changes come colonna sonora del suo film “Universitari”. È iniziato tutto da lì. Ora ho una squadra in Italia con cui mi trovo benissimo, con cui riesco a lavorare in sincronia.
Per il videoclip di Sweet Hurt avete usato delle cineprese old style o è solo un effetto?
Ti deludo, abbiamo girato totalmente quel video usando un iPhone. Sono tutti amici e volevamo rispecchiare l’idea delle nostre reali vacanze o vacanze ideali. L’idea della libertà e della malinconia tipica dell’amore estivo guardando indietro nel tempo. È una canzone nata al mare, volevo usare ritmi tipici mediterranei. Volevo far vedere anche il Mediterraneo nella stessa visuale in cui appare la California nei vari videoclip. Il Mediterraneo all’estero viene visto solitamente come un cliché, volevo mostrarlo sotto un’ottica diversa. 

Qual è stato il brano più critico del tuo ultimo Ep e perché?
È la prima volta che faccio un Ep. Di solito esco con degli album. Non volevo fare un album in questo momento, perché non volevo fare un album solo per farlo.
L’Ep comporta infatti poche canzoni e mirate a raccontare una storia tua o meno, e a dire qualcosa di base.
È esattamente ciò che sono e allo stesso tempo volevo che fosse un ponte tra lo stile di “Before the Storm” e lo stile dell’ album che uscirà con l’anno prossimo. L’Ep spero spieghi perché c’è stato questo cambiamento sia di tematiche che di stile.
Neil Young? So che lo aprirai il 12 luglio ad Hyde Park.
Ci saranno svariate band che lo aprono. Sarà una giornata fantastica.
E se ti dicessi Bruce Springsteen e McCartney?
Due esperienze uniche. Springsteen è stata un’esperienza analoga a quella che sarà ad Hyde Park. Ho avuto un’educazione rapida full time in un giorno solo, di cosa vuol dire considerare la musica un lavoro e non solo una velleità artistica. Springsteen ha un’etica del lavoro incredibile. Con Paul McCartney, invece, sono stato fortunato. Il giorno in cui registrava il video noi avevamo uno show a Londra. Hanno coinvolto alcuni musicisti e artisti. Quando mi hanno chiamato ho inizialmente pensato che fosse uno scherzo, invece ho passato due ore in studio a Abbey Road con lui. È stata un’esperienza indimenticabile e un’enorme lezione di umiltà. È una delle persone più umili e simpatiche che abbia mai conosciuto.
Cosa pensi del panorama discografico italiano?
Penso che è in crisi, si vede e lo pensano tutti. Non per colpa di case discografiche o per chi ci lavora, l’industria musicale è stata monopolizzata negli ultimi vent’anni. Usare le stesse formule estere dei Reality va bene nella misura in cui non si vada a senso unico. Se hai una forma culturale, televisiva e di radio che vanno in un´unica direzione, diventa un enorme Mc Donalds e perdi tutti i cuochi, in poche parole. Diventa tutto veloce, che costa poco, e si perde la qualità. Questo è ciò che è avvenuto in Italia, negli ultimi quindici, vent’anni, ma sta cambiando, perché deve cambiare e perché non funziona più. La cultura mediatica non è più a senso unico e la gente ha voglia di trovare cose diverse. L’Hip Hop e il rap italiano sono un esempio chiaro e preciso di ciò che stavo dicendo, i nuovi cantautori indipendenti. C’è odore di cambiamento, sta alle discografiche carpire il momento. Non è solo in Italia, anche in Spagna è lo stesso.
Chi tifavi nel mondiale?
Mio papà è italiano e il mio cuore è azzurro. Lo dico anche quando mi intervistano in Inghilterra. Sono dispiaciutissimo per l’uscita dell’Italia, ma almeno abbiamo battuto l’Inghilterra.
Vedremo ancora tue foto per Calvin Klein?
Non so, dipende da loro più che da me. È stata un’avventura divertente e grazie a quell’esperienza ho incontrato tantissima gente. Sono quelle cose che fanno parte del gioco ma non sono necessarie, mettiamola così.
 
Elena Rebecca Odelli

9 luglio 2014
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