Filippo Graziani, figlio del compianto Ivan, ha partecipato all’ultimo Festival di Sanremo nella categoria Nuove Proposte. Il suo brano Le cose belle racconta le inquietudini e le difficoltà della generazione dei 30enni, imprigionata fra due secoli e in cerca di riscatto.
Come hai vissuto, anzi, come stai vivendo questo Festival?
“Lo sto vivendo bene, è un momento divertente e mi sta dando soddisfazioni: il mio brano sta andando molto bene in radio e mi ha fatto piacere sapere che il televoto mi aveva promosso. E comunque ho vissuto bene anche l’eliminazione, ero consapevole di portare una canzone poco sanremese. Sono contento che noi giovani avremo tutti un altro passaggio sabato. La gara vera inizierà ora”.
La chitarra che avevi sul palco era di tuo padre?
“Sì, nello specifico è una 345 del ‘63”.
Come ti sei avvicinato alla musica? So che tuo padre non ha incentivato te e tuo fratello Tommy in questa direzione.
“È stato un percorso molto naturale. La musica è sempre stata parte di me come espressione naturale, quella che conosco meglio. Ho iniziato l’attività live intorno ai 18 anni, in un certo senso abbastanza tardi, ma ho recuperato subito facendo un macello di cose”.
Avevi un gruppo rap, poi nel 2008 formi il gruppo Stoner-rock Carnera. A proposito, è vero che ami la boxe?
“Sì, molto. L’altro giorno ho incontrato Clemente Russo, un vero campione”.
Le cose belle racconta la difficoltà di una generazione, la nostra, quella dei trentenni. Come ne usciamo, Filippo?
“Bisogna modificarsi, imparare da capo un bagaglio di cose che non sono più applicabili per noi. È molto difficile, ho passato le superiori studiando fotografia, ore e ore in camera oscura per sviluppare le foto, adesso è un mondo completamente nuovo. È la velocità dei cambiamenti che sono disarmanti, non si riesce a stare al passo. A 30 anni ti guardi indietro e ti senti più vecchio di quello che sei, hai perso cose che non hai fatto tempo nemmeno a conoscere. Siamo stati schiacciati fra due generazioni, il mondo che c’era prima è diventato una cosa completamente diversa, anche nel modo di comunicare con le persone. Essere sempre costantemente aggiornati, circondati di cose usa e getta che compri e son già vecchie. La musica cambia ma è ciclica, nell’ispirazione, questo vizio di forma la porta a essere più gestibile; dopo il recupero degli anni ’80, a breve recupereremo i ’90. Ben venga quindi il grunge, è un linguaggio che conosco bene”.
Tu cosa ascolti?
“Sono schizofrenico, ascolto veramente di tutto, non tutto, è diverso. Non mi piace tutta la musica, non sono legato al genere, ma allecose che mi diano qualcosa, mi diano emozione. Ora sto ascoltando ‘Reflektor’ degli Arcade Fire, che, come per tanti altri dischi che alla fine mi trovo ad amare, devo ascoltare 4 o 5 volte per poter incasellare tutti i tasselli nel posto giusto. Il problema oggi è che in questo paese c’è più gente che fa musica di quanta ne ascolta effettivamente, occorre creare una nuova generazione di ascoltatori”.
Ascoltando il tuo album, si percepisce un animo inquieto, che si esplica perfettamente nell’ultima traccia, Paranoia, con la voce distorta e il robusto tappeto di chitarre.
“Sì, assolutamente, non ne faccio mistero. Sono ancora un adolescente, fondamentalmente. Ognuno ha l’età che si sente, a maggior ragione se non mi dai gli strumenti per vivere la mia vita secondo le tue aspettative e canoni”.
Sei stato headliner nello storico Arlene’s grocery, club che ha ospitato ai loro esordi Jeff Buckley e gli Strokes. Quanto ti hanno influenzato il periodo a New York e i club del Lower East Side?
“È stato un periodo davvero formativo, mi ha rigenerato. Questo è l’effetto che ti fa New York, impari la bellezza di sentirti una formichina. E vale anche nell’ambito della musica”.
Qual è il brano di tuo padre a cui sei più legato?
“E sei così bella, contenuta nel disco “Tributo a Ivan Graziani”.
Andrea Grandi
21 febbraio 2014
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