We're the Unicorns, we're more than horses, we're the unicorns, and we're people too!Avete presente quando, in una galleria d’arte moderna, trovandovi di fronte ad un quadro astratto, magari uno dei massimi capolavori del ‘900, il solito amico simpaticone se ne esce con “questa roba la saprebbe fare anche il mio fratellino?” Ecco, state sicuri che con questo disco, pur non essendo un capolavoro assoluto, chiariamolo subito, vi potrà accadere una cosa del genere.
Un anno dopo l’uscita oltreoceano, grazie alla Ruff Trade arriva anche da noi questo piccolo oggetto di culto, un must che di colpo vi farà guadagnare punti agli occhi dei vostri indie-amici, più di una qualsiasi maglietta vintage dei Pavement.
Gli Unicorns sono tre, sono canadesi e, a giudicare dai testi, sono dei genialoidi nerd perlopiù ossessionati dalla morte. Giovani menti impegnate in un chiaro tentativo di attentare a tutto ciò che sta alla base della forma canzone. Se siete quindi tra quelli che non possono fare a meno dello schema strofa-ritornello, o peggio pensate che un musicista debba essere per forza un virtuoso o quantomeno intonato (che esigenti che siete però…) allora lasciateli perdere. Di certo non siete fatti per queste canzoni in cui su tasterine giocattolo, flauti da scuola media, violini, rumori casalinghi, ritmiche semplicissime e melodie facili si divertono le voci di Nicholas Diamonds e Alden Ginger che, oltre a prodursi in improbabili controcanti, spesso dialogano tra loro in piccoli siparietti in cui interpretano se stessi (I Was Born, a Unicorn), un divo bambino ed un suo fan (Child Star), un dottore ed il suo paziente (Jellybones) e così via.
Ci avete capito poco vero?
Per darvi ancora una mano ad inquadrarli, diciamo che gli Unicorns suonano come dei Flaming Lips con molti anni ed altrettanti soldi in meno, ma con la stessa voglia di disorientare e divertire togliendo ogni punto di riferimento, e soprattutto quella stessa classe pura che esce fuori quando meno te l’aspetti. Classe che in questo lavoro si intitola Tuff Ghost, The Clap (tre strofe tre, ed una chitarra che da sola vale il prezzo del disco) e Innoculate The Innocuous, tanto per citare i casi più evidenti.
Un disco che vi farà innamorare o vi irriterà a morte, ma di certo non vi lascierà indifferenti. Così com’è altrettanto certo ed innegabile che il titolo dell’album sia uno dei più belli che ci sia mai capitato di incrociare da molto tempo.
|