Negli ultimi anni l’hip hop ha subito delle mutazioni che lo hanno portato verso dimensioni molto diverse tra loro, una più classica e commerciale (amato dalle radio e pieno di clichè eccessivi e spesso fastidiosi, leggasi alla voce catenone d’oro e macchinone) ed una underground tanto viva quanto indefinibile a livello di suoni. Della seconda fanno parte i cLOUDDEAD, ovvero quella che i magazine inglesi hanno definito come la risposta hip hop ai Radiohead di Kid A.
Paragone azzeccato o meno, con i cLOUDDEAD ci si trova di fronte ad un assoluto ibrido sonoro, un viaggio mentale fatto di ritmiche liquide e robotiche, frasi ipnotiche e soprattutto una timbrica vocale nasale impossibile da confondere, quella di Doseone. Ibrido è la parola d’ordine anche nel secondo album del trio americano, intitolato “Ten”. La musica dei cLOUDDEAD è uno strano incrocio di suoni che nascono dal kraut rock, si sposano all’hip hop futurista della Def Jux e poi finiscono per incanalarsi in un filone elettronico suggestivo che ricorda le cose più ambient di casa Warp, ma incredibilmente mantiene una matrice, invisibile ma tangibile, indie rock/post-rock. Ibrido appunto, contaminato, virato, ipnotico. Sono geniali i cLOUDDEAD? Forse. Ma nella genialità, vera o presunta che sia, abitano anche delle variabili che non possono essere definite se non con l’aggettivo strano. Strani, stranianti, stranianti sono gli ambienti che si vanno a creare, in certi casi sembra di ascoltare un disco anni ’30, che però poi viene remixato dai Boards Of Canada e successivamente da Prefuse 73, ma lascia intravedere anche degli ascolti industrial à la Neubauten. Il gioco dei Doseone e compagni sta proprio nel confondere le carte non lasciando mai scampo all’attenzione, che rimane vigile come a dire: e ora che succede?
Mentre le filastrocche sono sonorizzate da rumori di fondo, inserti e campionamenti minimalisti, in qualche altro angolo sta per nascere qualcosa di diverso. Sembra quasi che i 3 americani (Doseone - voce, Why? – suoni, Odd Nosdam – suoni), punta di diamante della rivoluzionaria etichetta Anticon, vogliano creare una nuova forma canzone che è una non-canzone, una specie di impianto architettonico che al posto delle fondamenta ha dei cuscinetti d’aria, che stando per aria non cade ma riesce nell’impresa di creare un suono affascinate, sperimentale, derivativo e soprattutto innovativo.
“Ten”, come del resto il precedente omonimo debutto, è un album consigliato a tutti coloro vogliono scoprire un sound coraggioso senza paragoni, assolutamente inedito. |