Resettiamo l’immagine di Omar Pedrini dei Timoria.
Quello che emerge da "Vidomàr" è un “cantautore” che mixa sapientemente le proprie capacità, il proprio gusto, l’esperienza, i vari generi e anche la fantasia.
Tutti questi elementi e la notevole cultura musicale, permettono a Pedrini di spaziare tra i vari arrangiamenti, ora jazz, ora funk, ora blues o di poche note di accompagnamento alla voce.
Le scelte, sono infatti di chi, non si accontenta di un arrangiamento semplice e immediato, ma di chi ricerca, nella musica, suggerimenti più raffinati e gustosi, fino ad arrivare al jazz. Tutto il percorso è fatto però con umiltà, senza abusare di virtuosismi, senza lasciarsi andare cioè in improvvisazioni o in assoli tecnici.
Il disco infatti suona come “italiano”, la voce è padrona assoluta e attorno ad essa si costruiscono gli arrangiamenti. Le linee melodiche vocali sono abbastanza classiche, cadendo spesso in vere e proprie citazioni di un mondo musicale “fatatamente” italiano, quello di Battisti, che poco hanno a che fare con la melensa melodia d’amore, ma piuttosto con le atmosfere pop-rock alla Vasco.
I testi sono poetici e ci rilasciano immagini e scorci particolari dello stato d’animo di un uomo, oltre che di un passione calcistica; questa caratteristica di Omar era già nota da quando suonava nei Timoria. La voce non è entusiasmante, ma supera la prova per la sua versatilità.
Oltre perciò a “Lavoro Inutile”, ascoltata a Sanremo, che rimane la più immediata per la sua intensità, spiccano “Mare Blues” con la sua carica Funk-jazz (la stessa della prima “Ho Solo Un’Anima”), “Da Qui” dal bellissimo testo, “Govinda” per la sua allegra melodia italiana. Si fa notare anche “La Parte Migliore Di Me”, per l’interpretazione “recitata”. |