Emiliano Mazzoni è il risultato degli anni zero italiani.
Un Pianista e cantautore, sforna il suo primo album solista che è un abbozzo di jazz pop ora sognante, tra fisiognomica e psichedelia, ora epico tra jazz instradato e linfa noir.
Figuratevi un musicista che recupera primule sonore post guerra fredda fatte di pathos vocali e pattern in monotono e immaginatevelo ricamarci sopra sincretismi che profumano di Hugo Race e del Choen più poetico.
Ci troviamo pressappoco dalle parti di una Bologna invernale o di una New Orleans in vetrina. A dire il vero l´eldorado è Piandelagotti, in provincia di Modena, a 1200 metri di altezza, ma i rimandi geografici sono doverosi anche perchè il calcolo dei chilometri l´abbiam lasciato in pianura. Per carità, una fetta di responsabilità l´avrà pure la coproduzione, guarda caso purissimi anni novanta, di Luca Alfonso Rossi, ex bassista degli Ustmamo, per l´appunto. Mazzoni invece lo ritroviamo negli In Limine e a seguire nei Comedy Club, da lui stesso fondati, per poi vederlo intraprendere la carriera solista dal 2011.
L´autunno scorso è uscito Ballo sul posto, primo passo di questo giro di boa, un album in filigrana sottile. il primo brano, Mentre piangono le grondaie, segnala fin da subito la voglia di raccontare la natura che circonda questi livelli di rugiada "ed abbracciarti in un giardino che ha perduto già troppe primavere" con tiro per nulla autoreferenziale.
La strada del male è un fraseggio che ricorda romanticismi progressivi e ridondanze vocali alla Lindo Ferretti e da subito inizia a girar la testa per l´ennesimo tornante. Ma il vero senso dell´andare oltre la semplice matematica lo offre il pianoforte di L´esperto, che vira nel pop/rock cinematico, sulla falsa riga dei Baustelle.
Bellissimo e giocoso il testo, che fra favolistiche amenità scortica una prosa dinamica. In il dissoluto ci si sveglia nel medioevo e in buon per te luna in una scena di Tempi moderni di Chaplin "avevo spalle nude, la schiena adatta alle frustate" spingendoci a fare un salto temporale negli anni 30. E´ dura la salita, il cielo è terso e meraviglioso, ma bisogna stare a testa bassa per non perdere l´equilibrio e per non sentirsi schiacciati dalla pressione atmosferica. Mazzoni dimostra di calare a pieno le mani in un cantautorato personalissimo anche se di ispirazione deandreiana. Mi verrebbe in mente il folklore di Riccardo Tesi, i costrutti jarrettiani con Erik Satie in monocromatica dissolvenza, il tutto puntellato da jazz quasi diurno, Gaber o Jannacci sul bordo dei ricordi. Per nulla scontati gli arrangiamenti, la semplicità armonica, la vulnerabilità dell´anima.
La chiusa in sinfonia è un rigido inverno pieno di filastrocche che si scoprono vere e la cura dei dettagli farebbe pensare ad un futuro roseo per il cantautore modenese, che in questo debutto inscena la vita agra, ricuce un filo di note perso in un campo d´erba, da qualche parte, sotto zolle di terra in collina. Forse prima della curva finale ci saranno ancora tanti altri fianchi di montagna da sfiorare, ma si scorge un villaggio in lontananza, forse e finalmente potremmo essere arrivati in cima.
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