Iniziare il proprio secondo disco con una raffica di chitarra e batteria come quella che apre No Hope è una mossa da manuale. Quasi come gli Arctic Monkeys qualche anno fa con Brianstorm. I Vaccines sanno bene che evitare il flop da secondo album è un must se non vogliono essere condannati a suonare per sempre nei palchi secondari dei festival, e allora si sono messi d’impegno e hanno sfornato il disco giusto.

Il vocione di Justin Young è così arioso e caldo che sembra avere un filtro di Instagram. Sentirlo scandire il ritornello di All in Vain è un massaggio alle orecchie. Anche Freddie Cowan fa il suo egregio lavoro alla chitarra: i riff di Aftershave Ocean e I Always Knew ti restano in testa dopo un secondo e gli assoli, anche se semplici, ti fanno alzare il dito al cielo. Non manca il singolone su cui sentirsi sedicenni e abbandonarsi al pogo, Teenage Icon, mentre il momento-lentone è affidato alle atmosfere fumose di Weirdo, una sorta di Creep per l’indie kid 2K12.

Il problema sono i restanti pezzi. Belli eh, ci mancherebbe, ma senza il tiro necessario a consacrare "Come of Age" come un discone. L’atmosfera western di Ghost Town ci sta, come pure la pacata, riverberata Lonely World, mentre le paranoie transgender di I Wish I Was a Girl sono assolutamente dimenticabili.

E allora, bravi Vaccines. Siete riusciti a cavalcare l’onda del successo e non vi siete rivelati il tipico fenomeno British da quattro soldi (leggasi: Brother). Ci vediamo al prossimo disco, si sa mai cosa può succedere. Dopotutto i Killers il botto l’hanno fatto al terzo tentativo. Ma voi lasciate perdere le tastiere e gli alberi esotici sul palco.

Testo Elia Alovisi