Se non è Anna Calvi una delle new entries su cui scommettere ad occhi chiusi, allora taceremo per sempre. Padre italiano come tradisce il cognome, poco più che ventenne, un fascino sottile ed una presenza scenica incredibile (sembra una consumata diva hollywoodiana degli anni ’50, talmente è naturale nella sua studiata perfezione), Anna va ad allinearsi al genere Florence Welch, nel senso di prima donna che occupa lo spazio di una canzone con ogni respiro. Voce torrida e piena, un senso per il teatrale ed il drammatico che va in dissolvenza verso il nero, tra le sue influenze annovera tanto Nick Cave quanto Edith Piaf e Debussy. Raffinata e lontana dalle mode, Anna Calvi imbraccia la chitarra e spoglia le canzoni di tutto quello che non serve. E così ci sono testi ridotti all’osso (The Devil, Morning Light) che stanno in piedi solo con l’atmosfera, oppure prove epiche in crescendo (Love Won’t Be Leaving) o ancora perspicaci omaggi a spazi ariosi (Rider To The Sea), o ancora prove pop eleganti (Blackout). Se un neo si vuole proprio intravedere, è che alcune volte il suo talento supera la realizzazione effettiva delle canzoni. Però trattasi di un debutto che avercene.
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