Quanto puoi saperne dell’amore a 21 anni? Adele Adkins ne sapeva già parecchio a 19 anni, quando con l’album di debutto, “19” appunto, costrinse spalle al muro milioni di persone a rendersi conto di quanto faccia male. “21” fa male ancora, se possibile ancora di più, perché non c’è la rabbia di aver chiuso la storia con una persona assolutamente inadeguata, bensì la consapevolezza che un grande amore non c’è più; non ci sono più i momenti felici, e neppure la gelosia, i tuffi al cuore, le litigate, la carne che si lacera dentro. Rimangono solo un assordante silenzio e questo “21”. E Adele ce la mette tutta per rendere il suono ricco e pieno, ma per quanto pianoforte, per quante chitarre e basi ci metti non c’è niente da fare: una voce così non passerà mai in secondo piano. Materia prima meravigliosa su cui mettere le mani, il team di super-produttori Rick Rubin, Ryan Tedder, Paul Epworth, Fraser T Smith e Dan Wilson ci ha sguazzato: dal soul contemporaneo di Rolling In The Deep al golden rock n’roll di Rumour Has It fino alle ballate classiche pianoforte-voce come Take It All, in realtà il pezzo forte di “21” arriva in chiusura: Someone Like You, disarmante nella sua semplicità, ´a volte in amore dura, a volte invece fa male´, disperatamente triste nella figura di questa donna che è rimasta impantanata mentre l’ex amante è andato avanti. La caratteristica forse più significativa di Adele è la sua capacità di sentire ogni parola che canta: nulla è di troppo, nulla non è mai abbastanza. Con quella voce può fare quel che le pare. Decretato già da più parti come uno dei migliori album del 2011, una sola avvertenza: anche se la voce di Adele è un efficace anestetico, “21” è come gettare del sale sulle ferite. Andateci piano.
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