Tutti prima o poi nel corso della vita arriviamo a fare i conti con l’amore, il Grande Amore, l’Assoluto. Quello che per sempre ricorderemo come il miglior compagno di innamoramento, quello per cui abbiamo fatto e detto cose che mai più riusciremo, quello che ci farà capire cosa significa sentire male quando uscirà dai nostri minuti quotidiani. Tutti, nessuno escluso. Anche a Mr Mark “E” Everett è successo: dopo tanti anni di matrimonio si è separato dalla moglie. E oltre a soffrire e ritrovarsi a parlare con il cane per sentirsi ancora vivo (sì, lo ha fatto) ha scritto un disco, “End Times”, uno dei più intensi della sua lunga carriera come Eels.
Arriva a nemmeno un anno dalla pubblicazione del già acclamato “Hombre Lobo”, e ne fa un po’ da compendio e continuazione; solo che stavolta il protagonista è lui, senza nessuna maschera di licantropo a coprirlo e schermarne il pudore. Il percorso del tormento si snoda attraverso 14 tracce, che di norma prendono la forma della gemma intimistica ma ogni tanto si concedono un graffio di orgoglio (come nel blues rock di Paradise Blues). Ma “End Times” è uno di quei dischi che vanno ascoltati, dalla prima all’ultima parola, e non perché vogliono raccontare verità insindacabili o esprimere pensieri contorti (non è questo lo stile di Mr E), bensì perché pretende – e si prende – un contatto con chiunque gli si avvicini.
Racconta la storia più vecchia del mondo: quando finisce un amore rimane un deserto colpito da tempeste e aridità. Rimangono non tanto le lacrime, quanto l’amarezza (che ora che gli anni sono 40 si fa sentire più che mai, passato il momento della giovinezza in cui con una scrollata di spalle c i si levava tutto di dosso). Rimane una valigia di ricordi, certe volte nitidi, certe altre riveduti nella prospettiva della lontananza temporale ed emotiva. Rimane la grande sfida contro se stessi.
Il primo mostro contro cui lottare è la rievocazione dei bei tempi: in The Beginning tutto era facile e bellissimo, e non c’era altro al mondo che non fosse lei; poche parole che sono sassi, nella loro essenzialità: Mr E ha una capacità unica di riuscire a spalancare un mondo di non detto rendendo esplicito il minimo necessario.
In In My Younger Days c’è la constatazione che, oggi, affrontare il vuoto non è più una lotta semplice; è uno scontro impari quello contro il dolore della perdita, perché c’è la stanchezza, c’è l’esperienza (che non insegna nulla per proteggersi), e la conclusione è una sola: I just need you back.
Il tempio dei ricordi si trova in Mansions Of Los Feliz, dove le mura della casa hanno trattenuto e ora restituiscono tutti i segreti, le parole e i respiri di un amore vissuto e passato. Quanto pesa il vuoto di un luogo comune? È una memoria agro dolce.
Un banale litigio che segna il punto di rottura di un carillon meraviglioso. Lei si chiude in bagno. Lui non sa che fare. Le parole sono state troppo pesanti per poterle cancellare. In A Line In The Dirt è cristallizzato quel momento maledetto in cui tutto è chiaro, ma ancora non viene a superazione; è imprigionato il punto di svolta che ancora si crogiola nell’inazione. È la quiete in attesa prima della tempesta.
A cosa serve continuare a parlare e raccontare? A nulla. Molto semplicemente: end times are here. In End Times c’è tutto quello che avete pensato ad ogni delusione e fallimento.
Apple Trees è perfetta nei suoi 40 secondi di recitato. Come una memoria perduta e ritrovata su nastro, sembra un frammento di ricordo, un viaggio, alberi, ma dietro c’è molto, molto di più; uno su un miliardo non è tanto l’albero quanto quello che in quel momento stava provando. È tutto condensato in quel just one in a billion, that’s how I felt. Non occorre dire altro. Ognuno pensi al suo one in a billion.
Intanto Mr E può anche permettersi di registrare più di un minuto di pioggia battente e tuoni e chiamarlo High And Lonesome. Non dice nulla. Ma se state ascoltando, se siete arrivati fino a qui, certamente avrete capito. I punti di svolta occorrono sempre durante un temporale.
E quanto disarmante è la constatazione che I need a mother, sorry but it’s true? Non è da tutti ammettere aver bisogno di un semplice abbraccio dove rifugiarsi. Le parole vengono sempre meno.
Little Bird: I miss that girl. Fa tanto, tanto male.
E On My Feet chiude il cerchio: dopo tutto quello che ha passato (e Mr E ne ha passate davvero tante) è ancora in piedi, incredibile essere sopravvissuti. Eppure. Quindi c’è speranza. C’è forza. C’è un forte amore per quel piccolo se stesso ferito, maltrattato, esposto alle intemperie dei sentimenti.
Scrivere canzoni d’amore è la cosa più difficile che ci sia. Si sa. E “End Times” rende superfluo qualunque altro tipo di intervento sulla questione. Mr E ha già detto tutto.
(E chi ancora avesse la presunzione di poter aggiungere qualcosa, osservi bene l’illustrazione di copertina di Adrian Tomine).
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