Abbandona i Balcani e la miniera d’oro delle sonorità delle steppe Zach Condon, l’anima del collettivo Beirut; dopo aver confezionato gli eccellenti “Gulag Orkestar” e “The Flying Club Cup” non rimane molto altro da dire sulla musica di quella parte del mondo, per quanto affascinante e ladra d’anima. Ma di tradizioni a rischio estinzione in questo mondo di suoni elettronici e produzioni orecchiabili ce ne sono altre, altre atmosfere acustiche capaci di evocare un patrimonio culturale comune e di mantenere l’immediatezza del sentimento.
E così i Beirut scoprono le carte del Messico. Aiutato dalla locale Jimenez Band, Zach ha estratto un’altra gemma di musica folkloristica declinata in stile e forma contemporanea: “March Of The Zapotec”, registrato nel villaggio di Teotitlan del Valle nella primavera del 2008.
Trombe, maracas, chitarrine, percussioni ritmate, fisarmoniche: tutto quello che fa Messico (e che, ammettiamolo, un po’ ci ricorda di Zorro) lo ritroverete in questo bellissimo EP. Certo, c’è ancora una serpeggiante sensazione di Est Europa nella costruzione delle canzoni, e c’è quel modo caratteristico di cantare di Zach che ricorda i chansonniers francesi, coordinate per non perdersi nella nuova dimensione del folk dei Beirut.
Le sei tracce di “March Of The Zapotec” incarnano alla perfezione la ragion d’essere del popolo messicano, al contempo allegro, solare, aperto alla vita e alla sua celebrazione ma anche con uno spleen malinconico particolare, meno accentuato rispetto a quello dei Balcani ma altrettanto spacca cuore, forse proprio perché riarso dal sole.
Sarebbe piaciuta a Fellini, la personalità di Condon, viaggiatore dell’anima e fagocitatore di culture che incontra lungo la via; americano atipico e alternativo, così giovane e così innamorato della diversità. Emir Kusturica ovviamente già lo adora. Il viaggio alla scoperta di Oaxaca lo ha illuminato. E si sente.
E a seguire arrivano le cinque tracce di “Holland”, una riedizione di quel che Condon era prima di diventare Beirut: Realpeople. Un altro aspetto della sua personalità, un esperimento elettronico etereo e sognante con scorci di quel che poi coi Beirut ha messo in pratica (fisarmoniche e timbrica strascicata tzigana). Tutta un’altra cosa, rispetto all’ambientazione precedente, che forse un po’ stona come posizione ma che mantiene un proprio valore intrinseco pur nella sua semplicità ed ingenuità.
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