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BLOC PARTY |
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A WEEKEND IN THE CITY |
La prima volta che ho sentito parlare dei Bloc Party mi sono perdutamente innamorata della batteria: ritmica primitiva, ipnotica, non sta nelle retrovie in silenzio bensì esplode in primo piano e si fa sentire. Poi mi sono ritrovata impantanata coi riff, chitarra catchy come da comandamento Brit; un rock dal suono pulito pulito e sporcato da influenze elettroniche e anche un po’ techno. Infine, Kele Okereke. Timbro erotico e giocoso, e cavolo, è nero! Non fraintendetemi, ma non è che capita proprio tutti i giorni di imbattersi in una band di bianchi fieramente capitanati da un ragazzo di colore! Gagliardi. Nessuna meraviglia che i Soliti Noti di NME abbiano decretato “Silent Alarm” quale Album dell’Anno 2005. Era bellissimo, diverso dalle solite sbobbe. I fan erano una massa in delirio. I critici in deliquio. Anno 2007: “A Weekend In The City”, ispirato dalle pulsioni sotterranee e di superficie della metropoli. The Prayer, il primo singolo, è una preghiera indie ai cieli o a chi è in ascolto per avere successo o anche solo il semplice famoso quarto d’ora di celebrità. Ispirato dalla Passione Di San Luca di Penderecki, scopro che Kele ha registrato la parte vocale con un multitraccia per dare un’idea di paradisiaco e che Jacknife Lee, il produttore dietro “AWITC”, lo ha aiutato a considerare la sua voce come a uno strumento separato. Prerogativa che rende unici i Bloc Party è infatti la compresenza armonica di grossi blocchi monolitici di suono: voce, batteria, chitarre, basso, quattro identità che marciano all’unisono ma ognuna saldamente lungo il proprio percorso. Nessuno prevarica. Nessuno rimane indietro. “AWITC” rimane sospeso tra “Silent Alarm” e l’esplorazione di nuovi territori; un piccolo, coraggioso passo verso il nuovo, dove il nuovo è l’istinto, il futuro decadente metropolitano di un’elettro-rock post-tribale. Ed è un disco che si fa ascoltare, dove le parole sono pesanti come pietre che precipitano dal cielo; Kele ha fatto un ottimo lavoro, che non passerà certo inosservato. Una nitida e ingloriosa polaroid dell’Inghilterra oggi. In Song For Clay (Disappear Here) c’è tutta la noia della nostra vita: abbiamo tutto, eppure non sentiamo nulla. Solo noia. Un male di vivere che si ritrova speculare nell’ultima traccia, SRXT: il nome di un antidepressivo fa da emblema a un malinconico e delicato excursus sul suicidio. E le cose non vanno tanto bene neanche in mezzo. In Hunting For Witches ci sono sì riff nevrastenici da sabbah, ma ci sono soprattutto la paura del dopo 11 Settembre e 7 Luglio, la paura del diverso, il timore borghese dell’invasione extracomunitaria, viste dagli occhi di un 25enne di colore di seconda generazione che in Inghilterra non riesce a sentirsi a casa. Sulla stessa riga Where Is Home?, che prende spunto dalla morte di Christopher Alaname, ragazzo di colore accoltellato nel Kent, per rincarare la dose di razzismo strisciante: altroché Swinging London. Waiting For The 7.18 è l’alienazione del pendolarismo. E Uniform è un sarcastico e disilluso teatrale attacco ai giovani di oggi: tutti uguali, tutti senza idee originali. E l’amore? L’amore c’è? Oh, sì. E ci salverà? Neanche per idea. Ho fatto un giro su internet e ho letto cose poco carine su questo disco: non critiche, perché è impossibile dire che è brutto o fatto male, ma una sorta di delusione perché ci si aspettava un’atomica e invece pare che “AWITC” sia solo una vecchia granata. Bah. Forse Kele ha davvero ragione: c’è troppa, troppa gente annoiata in giro. |
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Voto: 7 |
Casa Discografica: V2 |
Sito Internet: blocparty.co.uk |
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Elisa Bellintani |
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19/02/2007 |
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TRACKLIST |
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1. Song For Clay (Disappear Here) 2. Hunting For Witches 3. Waiting For The 7.18 4. Prayer 5. Uniform 6. On 7. Where Is Home 8. Kreuzberg 9. I Still Remember 10. Sunday 11. SRXT |
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DISCOGRAFIA |
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2007 A Weekend In The City 2004 Silent Alarm |
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