Dopo il pop, lo swing e l'entertainment sui generis, Robbie Williams voleva dimostrarci di essere bravo proprio in tutto per cui si è buttato a capofitto in questa nuova avventura dance: e così ecco "Rudebox", a sua detta un esperimento nato per gioco che da passatempo è diventato ossessione e fa ora bella mostra sugli scaffali dei negozi di musica di mezzo mondo. Ben è noto che il troppo stroppia, e qualcosa effettivamente stona in questa succulenta passerella da dancefloor, nonostante vanti una produzione da capogiro (Pet Shop Boys, William Orbit, Soul Mekanik, Danny Spencer, Joey Negro e Mark Ronson) e ci siano fior fior di stuzzicanti cover (Human League, My Robot Friend, Lewis Taylor, Manu Chao, Stephen Duffy), e nonostante Robbie ci metta l'anima e tutto il suo savoir faire di mostro pop. Forse è la sconcertante lunghezza, ben 17 tracce, che fanno di "Rudebox" un album per adoratori del dio Robbie o in alternativa un disco da mettere con un unico scopo: far ballare, e non pensarci più. Forse è che le incursioni nell'elettronica e nei favolosi anni '80 leggermente rigano lo smalto glitter di Robbie – why you so nasty? Ad ogni modo ci sono tracce che non passano inosservate, come la cover piaciona di King Of The Bongo di Manu Chao (con i morbidi vocals di Lily Allen), l'omaggio alla Regina del Pop di She's Madonna e la meravigliosa Louise degli Human League, canzone cardine della vita di Robbie a cui aggiunge se possibile ancor più emozione.
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