Dietro al nuovo album dei Libra c’è un notevole bagaglio di esperienze.
Dal 1999 a oggi la band veneziana ha pubblicato cinque dischi, calcato numerosi palcoscenici, cambiato lineup e inevitabilmente mutato anche il sound, di cui “Il viaggio di Zebra” rappresenta una sorta di biglietto da visita. In sé la direzione musicale intrapresa non sconvolge: l’abbinamento chitarre psichedeliche – synth/organi elettrici è stato ampiamente collaudato nella storia della musica. è grande, invece, la naturalezza con la quale i Libra riescono a creare una trama sonora ora scarna, ora elaborata, che in più di un’occasione salva dei brani altrimenti prescindibili.
Viaggia su due binari, “Il viaggio di Zebra”: uno è quello del post-rock dalle atmosfere malinconico-deprimenti, l’altro è quello di un rock più turgido, imbronciato e stralunato senza prendersi troppo sul serio, che volentieri chiama in soccorso il sintetizzatore. Se nel primo caso i Libra ricordano inevitabilmente qualcosa di già sentito, è proprio quando si lasciano andare alla leggerezza che risvegliano maggiore interesse. “Strategia del Terrore” e “TV” sono i due esempi migliori in tale senso: alto tasso di sinteticità, incedere roboticamente inesorabile, testi bizzarri e voce trattata. Sul fronte più “tradizionale” si attestano invece “Gennaio”, dalle suggestioni alla Radiohead (cfr. “Street Spirit”), “Io Resto Qui”, altamente melodica, e “Marta”, il brano più ricco dal punto di vista musicale. Non saranno canzoni che si stampano in testa, ma certamente non lasciano indifferenti.
Convincono più come musicisti che come compositori, Alberto Stevanato e soci. Per quanto i suoni siano estremamente curati, la scrittura rivela forse una certa dose di ingenuità. “Il viaggio di Zebra” rimane un buon disco, ma sento che i Libra non hanno ancora manifestato tutto il loro potenziale. |