C’è un modo di pensare tutto italiano, secondo il quale un testo è tanto più lirico e poetico quanto più i suoi concetti sono astrusi. Come se affastellare parole sconnesse l’una sull’altra riuscisse a creare un senso più profondo. I TBH cadono nella trappola, soffocando composizioni fresche e musicalmente accattivanti sotto profluvi di parole, che per di più non riescono a costruire alcuna immagine nè a comunicare alcuna sensazione. L’interpretazione vocale, per quanto complessivamente apprezzabile, con il suo andamento monocorde finisce per enfatizzare il problema, facendo sembrare le canzoni più lunghe di quanto non siano. Ne è un esempio "Come", potenziale singolo spacca-classifiche, che non decolla proprio a causa di questa zavorra verbale. Più leggera, ma anche più banale, "Aprile". Mentre il gioco riesce meglio in "Aiutami a ricordare", "Coperte nel parco" e "Ho indossato la giacca", dove i TBH raggiungono il giusto equilibrio tra originalità e piacevolezza, orecchiabilità e ricercatezza.
In fin dei conti, l’album suona bene, fa battere il piede e qua e là induce persino all’ancheggiamento: un pop-rock spruzzato di elettronica, che si inserisce, musicalmente e temporalmente, fra Scisma e Kech, strizzando l’occhio anche a Gazzè. Certo che, con i suoi testi, sarebbe tutta un’altra cosa… |