Gruppo feticcio, ironici, disillusi, spocchiosi, divertenti, antipatici, cerebrali, teatrali, sopravvalutati e così via ad libitum. Fino ad ora (se si esclude l’ascolto illegale naturalmente) per gli appassionati italiani il nome The Arcade Fire, band di Montreal guidata dal cantante-chitarrista Win Butler e relativa consorte, la polistrumentista Régine Chassagne, ha significato significato solo questo: parole, parole e solamente parole. Da qualche giorno anche da noi si può passare ai fatti, all’ascolto: "Funeral", il debutto indie-pop più sviscerato dalla critica di mezzo mondo è uscito anche in Italia. Si comincia con "Neighborhood #1 (Tunnels)" che, così come la penultima "Rebellion (Lies)", è una di quelle intense ed emozionanti cavalcate pop in crescendo come non se ne sentivano dai tempi di "Common People" dei compianti Pulp. Ma è con "Neighborhood #2 (Laika)" che prende forma il fantasma del gruppo che più di ogni altro sembra ispirare gli Arcade Fire: i Talking Heads. Anche in questo, bisogna ammettere, i nostri dimostrano una certa originalità: nel mare magnum del citazionismo degli ultimi anni, al gruppo di David Byrne non ci aveva ancora pensato nessuno: stessa vocalità acuta e sbilenca, stesse trovate dal punto di vista degli arrangiamenti (sentite "Neighborhood #3 (Power Out)" e "Haiti", poi fateci sapere), stesso eclettismo, pari peso della componente femminile nelle dinamiche del gruppo ed infine, aspetto spesso trascurato dalle nostre parti, delle liriche ad elevatissimo tasso di intensità poetica ed intelligenza. Attenzione però, non ci cascate. Trattasi di caso raro in cui al citazionismo spinto è associata una fortissima personalità: ogni pezzo di questo Funeral è avvolto infatti in una nube di esasperato riverbero che dà alle melodie, tutte di una disarmante immediatezza, un’insolita sfumatura drammatica. Il tutto, ed in ciò risiede la forza di questo disco, senza sembrare artificioso. "Funeral" è una trama compatta, calda ed avvolgente, che si rivela in tutto il suo valore da subito al primo ascolto e sulla quale, come se non bastasse, sono ricamati come piccole perle i pochi momenti in cui a cantare è la Chassagne: la bellissima "In The Backseat" che chiude il disco, ad esempio, siamo sicuri che non farà alcuna fatica a farsi includere nelle vostre playlist malinconiche ed esistenzialiste. E già che ci siamo diciamola anche noi una parola, quella conclusiva, forse l’unica che vale davvero la pena pronunciare: finalmente. |