Mario è siciliano. Lo si sente nella voce, nella solarità e nella meticolosità con cui descrive il suo ultimo lavoro (“L’ultimo romantico”). Lo fa con immagini vive, con i colori che solo lui riesce a miscelare così perfettamente bene, cercando ogni volta soluzioni nuove. Vi lascio le sue parole prima di leggere questa chiacchierata fatta di sole, di estate, di un modo originale (per i tempi attuali) di vedere la vita.
“Il termine romantico sembra aver perso il suo significato originario ed è diventato col tempo sinonimo di sentimentale, ma in un periodo come quello che stiamo vivendo la parola romantico dovrebbe riacquisire il suo antico significato. Romantico è chi reagisce alla razionalità con l’emotività, la fantasia e l’immaginazione.
Il romantico cerca l’infinito, il desiderio del desiderio, lo slancio verso l’Assoluto, la spinta ad oltrepassare i limiti della realtà. Il romantico insegue il sogno, la visione, la follia.
Quel sogno mi ha spinto a fare della musica la mia vita. Bello sarebbe non sentirmi più un sopravvissuto, un animale in via d’estinzione, l’ultimo romantico.” Mario Venuti
Intitoli questo lavoro “L’ultimo romantico”, hai questo fardello sulle spalle?
“Mi sono complicato la vita eheheh…se gli diamo il giusto significato, lo reggo benissimo. L’ultimo romantico non è di certo diventare un super sentimentalone da baci perugina”
Ti ci ritrovi?
“Mi ritrovo perché quello che ho fatto nella mia vita è sempre stato il frutto di forti passioni, che penso, trasudino in ciò che scrivo. Posso portare questo fardello. Naturalmente non mi sento né l’ultimo, né il solo. Non ho questa presunzione. La mia è una provocazione, perché i tempi sono tutt’altro che romantici, siamo nell’epoca della disillusione. Proprio per contrasto quello che scrivo, con passione, risulta super romantico se messo a confronto con quest’epoca così dimessa”.
Mi ricollego ai tempi che hai citato, perché in un paio di brani si vede benissimo questo richiamo forte alla società moderna, al mondo delle veline e raccontato in “Rasoi”?
“In alcuni brani viene fuori l’attualità. Tutto, però, è cosparso dall’ironia. Il pericolo di quando ti occupi in maniera troppo ravvicinata della cronaca corrente, è di fare invecchiare in fretta le canzoni. Bisogna essere abili a toccare temi attuali, però le canzoni devono durare il più possibile”.
Dove può trovare la tua emotività un ascoltatore? Perché un po’ il romanticismo si lega alla sfera emotiva
“Quello che ci manca” è il brano che quando l’ho scritto ho avuto io stesso il “brividino”, mi ha commosso. Vuol dire che c’era qualcosa di forte, qualcosa di mio. Pur nella sua semplicità: parte come un bilancio, poi diventa programmatica, fino allo slancio verso il futuro con la voglia che ne traspare di mangiare ancora il mondo a morsi”.
Sempre in questo brano, traspare la metafora dell’amore come qualcosa che in realtà ci manca…quindi mi chiedo cosa manca a Mario Venuti?
“Probabilmente proprio quello che mi manca (ride ndr). La sensazione delle cose che si desiderano ma che non si hanno, che si sono perdute, che si vogliono riavere, hanno un appeal particolare. Ho trovato questo modo sottilmente provocatorio di descrivere l’amore, come qualcosa che non è quello che abbiamo, ma qualcosa che ci manca. Mi è sembrato un’intuizione”.
E’ stato descritto il disco più autobiografico in assoluto. Quello in cui ti sei descritto di più anche come scelte stilistiche e musicali
“Non so se è il più autobiografico, in effetti anche in “Recidivo” c’erano brani più personali”.
“Trasformazioni” è un po’ l’anello di congiunzione?
“No, volendo poteva cantarla chiunque altro. E’ un modo per dire che bisogna vivere l’attimo, guardando comunque al futuro. Se il mondo dovesse finire domani io comunque lancio dei semi che magari cresceranno. il messaggio è questo. La fine dei Maya non ci sarà”
Guarda io lo spero proprio
“Se ne parlava molto quando ho scritto questa canzone, poi adesso che si avvicina la data non se ne parla più, chissà perché”
Eh perché mi sa che i maya hanno toppato
“Si è già consumato in anticipo l’evento sulla rete. La notizia è già stata sviscerata in tutti i modi, forse non interessa più a nessuno. Passerà il giorno e la gente si dirà “ah ma è già passato il 12”
E’ un po’ quella fretta che corrisponde alla realtà attuale
“La fretta di consumare le cose prima ancora che avvengano”
Quanto ci hai messo a consumarlo questo disco? Dove per consumarlo intendo il comporlo?
“La creatività è un motore che ogni tanto metto a riposo, poi lo riattivo. Funziona un po’ come il motore della moto quando la tieni in garage del tempo. Quando la riaccendi, il motore stenta un attimo, ma quando parte, non lo fermi più. Le canzoni in quel momento vengono una dietro all’altra e non si fermano. Ogni tanto spengo il motore creativo, perché ci sono da fare altre cose: bisogna nutrirsi di altro, uscire, viaggiare. Sono cose che ti danno lo spunto per scrivere nuovamente”
Sei sempre stato noto per la ricerca che ci metti nei tuoi testi e nella musica, per la cura che metti ai tuoi dischi, che magari non risultano subito accessibili a tutti. E’ un disco che vede vari stili
“Io sono siciliano, e sai i siciliani quando preparano la cassata ci mettono il candito, il ghirigori. Io quando faccio i dischi devo fare queste cassate, tutte con cura, perfette. Noi siciliani siamo un po’ barocchi. In effetti, sono abbastanza certosino, meticoloso sia nella scrittura, che nella realizzazione degli arrangiamenti. I miei dischi vanno scoperti a poco a poco, si prestano a ripetuti ascolti, forse in tempi frettolosi non tutti hanno questa voglia. Sono per le canzoni che non si consumano dopo pochi ascolti. Posso dire anche, senza falsa modestia, che alcuni brani del passato resistono nel tempo e portano bene negli anni. “Fortuna” del 94”, “Veramente “ del 2003 , “Crudele” del 2004, sono canzoni che se fossero uscite oggi andrebbero benissimo ugualmente, suonano ancora fresche.”
Ma tu sei più blues o più elettrico?
“Sono tutto e il contrario di tutto. La musica per me è un giocattolo con cui si può inventare. Proprio quando mi cimento con uno stile o un approccio di far musica diverso, faccio le cose migliori. Quando, poi, inizio a conoscere la materia, cado un po’ nell’esercizio di stile. Mi devo continuamente creare curiosità. Ad esempio scrivo al pianoforte, anche se non lo mastico molto, mi da il brivido dell’ignoto in qualche modo. Io chiedo molto a me stesso,a volte sono fin troppo severo”.
E’ il giusto compromesso per produrre brani di qualità.
Testo di Elena Rebecca Odelli
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