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LA VOCE DEGLI ESCLUSI

Sono pochi, anzi si contano sulla punta delle dita, i gruppi in Italia che dall´universo degli indipendenti sono sbarcati su major. Fra questi l´unico caso, o almeno il più eclatante degli ultimi anni, proveniente dall´alternative rock sono i Ministri: il trio milanese con “Tempi Bui” ha insegnato alla musica di massa non solo che è possibile fare rock “giovane” anche senza strizzare l´occhio al mondo teen di TRL, ma anche che lo si può ancora fare mandando un messaggio e cercando di raccontare la propria generazione senza edulcorarla come in un libro di Moccia; un discorso che, come ci racconta il chitarrista Francesco Dragogna, prosegue e si evolve nel nuovo “Fuori”.

 

 

Nell´album si sente molto di più l´uso di suoni elettronici. E´ un ritorno alle origini? Se non sbaglio all´inizio avevate anche un tastierista...
“Sì è vero, all´inizio eravamo in quattro. Il fatto è che siamo molto meno rockettoni di quanto si pensi, o almeno rispetto a un tempo: siamo arrivati ad un punto in cui vogliamo dire le cose in maniera diversa, forse meno giovanilista, anche se non rimpiangiamo quello che abbiamo fatto in passato. Ultimamente poi abbiamo avuto pochi stimoli dal rock, forse la cosa più interessante che ho ascoltato di recente è stata ´Sexuality´ di Sébastien Tellier, che è tutt´altro che rock! Non è un album elettronico, anche se i synth - tutti originali degli anni ´80 - sono usati in maniera più spudorata, si sentono bene sia il suono che l´effetto utilizzato, mentre prima fungevano solamente da tappeto; è però un disco tutto suonato, e infatti stiamo provando per portarlo dal vivo senza utilizzare basi, non perché siano un male ma perché non siamo molto pratici e non sapremmo come farle partire!”.

Quindi, dopo il successo di “Tempi Bui”, cosa avevate in mente quando avete iniziato a scrivere le nuove canzoni?
“Mettendoci al lavoro su ´Fuori´ volevamo evitare di avere un referente, non volevamo rifare qualcosa come La faccia di Briatore: in passato usato parole forti e slogan quasi pubblicitari, ma quello è un modo di scrivere di cui in un certo ambiente rock italiano si è quasi abusato e che dovrebbe forse passare. Anche per il titolo è valsa la stessa cosa: alcuni dei titoli possibili sono stati ´Satana e altre delusioni´ oppure ´La ali che ti hanno venduto´, ma abbiamo preferito evitare certe piacionerie da frase che si scrive sul diario e puntare su qualcosa il più possibile semplice e neutro”.

Già che ci siamo apriamo una parente per quanto riguarda il titolo: lo sapete che è lo stesso dell´ultimo disco dei Finley? E´ stato un caso o è un gesto di sfida?
“L´abbiamo scoperto solo a disco finito, quando uno dei nostri fan ce l´ha scritto su Facebook! In ogni caso se l´avessimo saputo prima non credo lo avremmo cambiato... E a voler essere pignoli il nostro poi è un avverbio di luogo, mentre il loro è un imperativo!”.

Ascoltando i testi di brani come Vestirsi male e Mangio la terra mi sembra che questo disco sia più introspettivo rispetto al precedente, che tratti meno della collettività e più dell´individuo.
“Beh, va detto comunque che la persona a cui fanno riferimento le canzoni non è mai una, perché i testi ci rappresentano tutti e tre. Poi è vero: ´Tempi Bui´ guardava molto al di fuori, a quello che c´era attorno a noi, era un album sull´esistente, sull´oggi; con questo disco siamo tornati un pochino alle cause prime di tutto, alle cose basilari da cui nasce quello che c´è intorno a noi, quindi anche dal disagio personale per rappresentare quello collettivo”.

 

 

Qual è stato lo spunto per questo cambio di prospettiva sulle cose, e quali gli obiettivi?
“Quello che abbiamo sentito prima di tutto era la necessità di rifondare un linguaggio, ripartire dalle parole base, da una sorta di ´grado zero´ della comunicazione. La nostra generazione soffre di un´alienazione dal punto di vista dei valori e dei riferimenti che passa anche dalla mancanza di un linguaggio proprio: i termini, così come i valori e le categorie, sono rimasti quelli delle generazioni precedenti alla nostra e non ci appartengono più. Questo non è un album politico, ma lo è in qualche modo perché c´è bisogno di cambiare un modo di vedere le cose: la nostra via è questa, fermo restando però che non siamo dei saggisti. Si tratta di un disco rock e per noi l´obiettivo principale rimane sempre quello di fare belle canzoni”.

E Una questione politica? Se non è un brano politico quello...
“Quella canzone affronta il tema della rappresentanza, che è centrale in questo momento perché nessuno si sente in realtà rappresentato nel nostro Paese. O almeno, noi lo vediamo nel nostro pubblico: c´è una parte di persone che si informano e sono consapevoli e poi una grande massa di ragazzi che lavorano e studiano, e sono fuori dai sondaggi di opinione e dalle statistiche, una grande massa di persone fuori da tutto, a cui noi in qualche modo diamo una rappresentanza perché queste persone attraverso la nostra musica sentono di fare parte di qualcosa”.

Di sicuro si sentono parte di qualcosa, visto che la primavera scorsa si sono mobilitati spontaneamente per portarvi a suonare a Berlino!
“Quella è stata un´esperienza fantastica: si è creata da sola una specie di community di gente che si è conosciuta ai concerti, persone che sono venute anche a più di 50 date. Sono stati loro che hanno fermato le date nei locali, si sono organizzati in 300 per venire su con i voli low cost e noi siamo partiti con il nostro furgoncino... E´ stata una bella prova di popolo, una cosa incredibile”.

Rimarrà un caso isolato o puntate a suonare ancora all´estero?
“Non credo, anche perché l´Italia è già abbastanza grossa... Pensa che in 3 anni abbiamo fatto un solo concerto in Sicilia, quindi abbiamo ancora tanto da girare qui! Poi se sul palco ci scateniamo è anche per quello che cantiamo e per il fatto che alla gente arriva il nostro messaggio, farlo con qualcuno che non lo capisce ci sembrerebbe una cosa vuota”.

web: www.myspace.com/ministri

Alberto Lepri
(08 novembre 2010)

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