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HAL HAL ... IL NUOVO SOUND FRESCO E SOLARE ARRIVA DALL'IRLANDA
HAL ... IL NUOVO SOUND FRESCO E SOLARE ARRIVA DALL'IRLANDA
C’è vita, lassù. “Lassù” è dislocazione geografica che individua una terra prolifica di talenti, l’Irlanda; più precisamente Kiliney, piccolo centro non troppo lontano da Dublino. Ed è proprio da lì che vengono gli Hal, nuova rivelazione “shamrock” che però è tutto tranne scontata. Uno dice “Irlanda, verde, birra, U2” e si aspetta un certo tipo di rock; invece con gli Hal toglietevi dalla testa il classico folk irlandese, o il rock à la Bono, o la poesia corposamente malinconica di un Damien Rice. Gli Hal regalano all’Irlanda un pezzo di California, una pennellata di sole caldo ed accecante, un revival di luci al neon e juke box anni ’50 che all’Irlanda non appartengono; Beach Boys meet passionate blood, la festosità di un Brian Wilson cresciuto a Guinness e patatine. Vi pare un abbinamento azzardato? Provate ad ascoltare “Hal”, il disco di debutto di questo quartetto sopra le righe; il colpo di fulmine è assicurato.
Abbiamo incontrato, tra l’incuriosito e l’entusiasta, Dave e Paul Allen. E il colpo di fulmine è stato totale.
 
Una cosa che mi ha subito colpito di voi è il nome del gruppo, dato che non ha niente a che vedere con il nome di nessuno di voi.
 
Vero, Hal infatti è il nome del computer in “2001: Odissea nello spazio”. Steve è appassionato di film, soprattutto di quelli di Stanley Kubrick, una sera stava guardando questo film, ci serviva il nome per il gruppo e Hal lo ha colpito subito.
 
C’è questa storia molto bucolica in giro, sugli addetti di una casa discografica che sono venuti a sentirvi fino a casa vostra a Kilney. Leggenda metropolitana o realtà?
 
E’ proprio vero, altroché! Ed è stata un’esperienza molto strana ma anche molto gradevole. Era un periodo che mandavamo in giro demo in ogni dove, ed alcuni sono arrivati fino a Londra,  dove a quanto pare abbiamo colpito l’attenzione degli addetti di una casa discografica, che si sono mostrati disposti a raggiungerci fino in Irlanda, di più, fino a Kilney, a casa nostra. E così in un giorno piovoso e freddo questi si sono presentati tutti zuppi alla porta di casa nostra, dove ci eravamo riuniti chi prendendo le ferie dal lavoro, chi bigiando la scuola, e li abbiamo fatti accomodare in sala sul divano, preparato del tè caldo e messo i loro vestiti ad asciugare, e ci siamo messi di fronte a loro e abbiamo iniziato a suonare. Era molto intima, come atmosfera. Noi, in casa nostra, a provare qualche pezzo acustico di fronte a loro, sembrava davvero di stare in famiglia. Ed evidentemente la cosa ha funzionato, perché li abbiamo colpiti. Da lì a poco è arrivato il contratto con la Rough Trade, non ce lo saremmo mai aspettato.
 
Ascoltando il vostro album, è inevitabile accostarvi ai Beach Boys per sonorità e vibrazioni. Non è quantomeno strano che un gruppo irlandese faccia questo tipo di musica così solare?
 
Non saprei, per noi è una cosa assolutamente normale … dove siamo cresciuti noi non è la California, certo, però non è nemmeno così brutto. E anche se piove, fa freddo ed il cielo è grigio gran parte dell’anno fare una musica così divertente e allegra è un modo per darci quello che l’ambiente non ci dà. I Beach Boys erano tutta un’altra cosa, dei grandi, e anche uno dei gruppi che ascoltiamo più volentieri, ma anche noi nel nostro piccolo cerchiamo di regalare a noi e a tutti un momento di colore e buonumore.
 
A proposito di colore e buonumore, la copertina del vostro disco è uno spettacolare condensato di fantasia e sogno. Il maiale volante, il nanetto, tutte queste figure vintage …
 
Un giorno ci è capitato tra le mani questo libro illustrato per bambini di epoca vittoriana, immagini a metà tra la realtà e il sogno, sembravano prendere vita dalle pagine, così reali eppure con quella patina old che le ricopriva. Ci siamo innamorati. E le abbiamo tenute buone per la cover del disco. Anche perché nell’album si sente molto questo tema del sogno.
 
Tema del sogno, sì, però allo stesso tempo la vostra musica riesce ad essere concreta, positiva, forse perché richiama un periodo storico dai contorni da mito, gli anni 50.
 
C’è da dire che anche quando suoniamo noi lo facciamo molto per immagini, con l’idea di mettere su una specie di mondo parallelo fatto di note ed armonie vocali. Il colore si tocca, non solo si sente; come nei Beach Boys, dove le armonizzazioni prendevano forma e sostanza. L’intero percorso dell’ascolto del disco è poi da intendersi come un viaggio, uno spostamento tra diverse situazioni e diversi stati d’animo, dove il filo conduttore è la compagnia, il fatto che nessuno è mai solo.
 
Personalmente trovo davvero divertente “Play the hits”, richiama alla mente “Happy days” e tutto quel periodo in technicolor che sono gli anni 50. come vi rapportate a quel periodo?
 
Sarebbe stato il massimo nascere allora! Anche se per noi la concorrenza sarebbe stata più spietata … sono stati anni davvero unici, dove le persone vedevano tutto sotto una luce positiva e riuscivano a godersi quello che avevano; noi siamo così, contenti e ci auguriamo di fare contenti anche voi. “Play the hits” è uno dei pezzi che live funzionano meglio, uno di quelli che ti dà soddisfazione suonare perché vedi che tutti si mettono a ballare e sorridere.
 
Vi garantiamo la botta di vita, con gli Hal. Provate, gente, provate …
 
Elisa Bellintani
 
12 maggio 2005
 
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