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 LA RUA
LA RUA SIAMO UNA PICCOLA FABBRICA DELLA MUSICA
SIAMO UNA PICCOLA FABBRICA DELLA MUSICA

Stimano Vasco Brondi definendolo uno dei migliori autori del nostro secolo, ma tra gli ascolti variano passando dal metal a Lucio Battisti. La band rivelazione di Amici, capace di alzare l’asticella musicale del programma e che dallo stesso programma ha assorbito sonorità nuove. Questi sono i La Rua. Abbiamo intervistato Daniele Incicco che ci ha raccontato del disco, di Amici e di quello che avverrà

Chi sono i La Rua, come nascono e come mai avete deciso di partecipare ad Amici?

La Rua è un progetto che nasce concretamente nel 2009, seppur con alcuni di loro suono da una vita. Diamo come anno di inizio il 2009 perché è il momento in cui incontriamo Dario Faini, coautore e produttore artistico de La Rua. Con lui abbiamo iniziato questo percorso di scrittura, portando tutto il nostro mondo. Abbiamo provato Area Sanremo, MTV Music Awards con Nuova tristezza nel 2014 e abbiamo partecipato al contest del primo maggio, vincendolo. Abbiamo cercato di suonare da vivo, il nostro obiettivo era scrivere brani e farli conoscere al pubblico. Come ben sai, per fare questo ci vogliono anni e anni di gavetta, il periodo è di crisi totale con concerti sempre più radi. L’ambiente indie e pop sono difficili. Abbiamo scelto di provare Amici perché ti da la possibilità di proporre i tuoi brani e ti permette molta libertà di espressione. Ci siamo presi tutte le responsabilità.

Esce Sotto Effetto di Felicità, ciò che mi ha colpito è l’esprimere la propria indipendenza da identikit prestabiliti e discostarsi dall’immaginario comune.
Io non riesco ad immaginare una vita pre-stampata, mi sento scomodo nel pensare a ciò che viene comunemente richiesto: un lavoro di otto ore, un mutuo. Riassumendo, una stabilità emotiva e sociale che, come si può vedere, porta ad un’insoddisfazione personale sfociando, anche, in estremismi violenti. L’essere umano è un animale complesso che deve avere una certo margine di libertà. Ha un’intelligenza tale che libero, può comprendere altre strade. Guardando me stesso cerco di assicurarmi un futuro congruo con le mie aspettative e ai miei bisogni. Non sono positivo alla normalità, Mai come mi vuoi tu esprimono il disagio nel conformarsi a questi schemi.

Sei un ottimista?

Si, cronico.

Anche nei brani più malinconiche, c’è sempre un lato di speranza in fondo.
Tutto questo arriva da una cultura contadina. Io arrivo dalla campagna dove vige la regola del ciclo naturale della semina e raccolta. Il mio percorso di vita è riassumibile in questo.  Devo seminare e sperare che ci sia un raccolto. Non avendo il futuro in tasca non si può esser pessimisti, ti fa vivere male il tempo. Io sono ottimista.

Come ci si approccia a scrivere e comporre un brano de La Rua, con sei teste da unire?
Noi facciamo un brainstorming. Io scrivo un brano, prendo la voce e lo mando ad ognuno dei ragazzi per lavorarci.  Ognuno di noi è produttore e arrangiatore da sempre. Ognuno da il suo arrangiamento, arriviamo in sala prove e li ascoltiamo tutti decidendo di tenere di ognuno le parti più interessanti e iniziamo a vestire il brano. Lo proviamo e se funziona musicalmente, lo raffiniamo grazie all’aiuto di Dario Faini. Il brano finito è il sunto del lavoro di sette persone. Siamo una sorta di fabbrica.

Ci sono dei compromessi nel disco?

Sono con noi stessi. Ognuno di noi arriva da un genere musicale diverso e dai dei modi di approcciarsi alla musica differente. Basti pensare a I miei rimedi e Mai come mi vuoi tu, musicalmente due mondi differenti. Il passato migliore che ho è arrangiato completamente dal batterista, Mai come mi vuoi tu è nata in sala prove. Ogni volta facciamo degli esperimenti particolari.

Perché il mercato indipendente e il mercato pop non ha capito da subito i La Rua?
Noi siamo nella terra di mezzo, non siamo né troppo indie né troppo pop. Le persone per capirti devono avere una serie di brani da ascoltare. Quando  ci sono uno o due album è ancora presto per farsi comprendere. Le persone possono iniziare ad entrare in sintonia solo dopo il terzo o quarto disco. Ci stanno conoscendo solo ora.

Avete firmato con Barley Arts, cosa dobbiamo aspettarci?
Tanti concerti, non vedo l’ora di iniziare a suonare. Tutto quello che ho vissuto è stato quasi un travaglio enorme. Non sono riuscito a godermi a pieno la trasmissione o la registrazione del disco, perché mi è mancata la dimensione del live. Il concerto è il cerchio che si chiude, è una comunione, si urla insieme, ci si urla le canzoni in faccia. Credo che la musica abbia ragione di esistere solo se si può esprimere dal vivo.

Qual è stato il brano più difficile da scrivere e comporre?
I miei rimedi, perché ha un testo molto importante con diverse dichiarazioni. E’ stato scritto in diverse ripetizioni. Anche dal vivo sento che di volta in volta c’è da metterci mano per non andare a toccare, a sporcare quello che il testo racconta. Per me il brano, ciò che è stato scritto, deve arrivare dritto nell’animo delle persone e non esser rovinato. Immagino questo brano come un cielo aperto che non deve esser distorto dal traffico, il brano deve  arrivare senza estetismi musicali.

Testo di Elena Rebecca Odelli

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