L’allievo che supera il maestro? Non proprio. Eppure De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto è uno dei migliori esperimenti musicali di Francesco De Gregori. E non so se mi sono spiegato bene. Il titolo stesso racchiude tutta l’essenza del progetto: amore perché senza un bel po’ di ammirazione e di passione per il repertorio di Bob Dylan, a De Gregori mai sarebbe venuto in mente di mettersi in gioco così; furto perché i pezzi inseriti nel disco sono stati magistralmente scelti senza l’aspirazione di creare nell’ascoltatore un paragone con l’originale. Le undici tracce, infatti, non sono tra le più conosciute in Italia ma sono lo specchio riflesso della facilità con cui il più grande cantautore di sempre è riuscito, nei decenni, a cambiare forse generi e sound ma mai il modo di usare le parole.
Proprio le parole sono il vero motore del disco di De Gregori. Tutto l’insieme, a mio parere, rispetta la versione originale ma il fatto stesso che le parole, anche se tradotte quasi fedelmente, siano in italiano, ecco, questo sì che cambia tutto. Sembra quasi che, a volte, le strofe siano snaturate del senso e non è un errore di De Gregori né un problema della lingua italiana. Solo che provate a sentire le canzoni in italiano cantate dal cantautore romano, poi le stesse in lingua originale cantate da Bob Dylan: ciò che manca è quel senso di criptico tipico dei testi di Bob Dylan, l’ironia velata di Bob Dylan, manca quasi, su quelle basi musicali, la voce stessa di Bob Dylan. E questo rende De Gregori quasi non credibile in quei panni.
La tracklist di De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto è composta da 11 brani. Le punte di diamante sono Servire qualcuno (Gotta serve somebody), Non dirle che non è così (If you see her, say hello) e Tweedle Dum & Tweedle Dee (Tweedle Dee & Tweedle Dum). La prima, ripescata da Slow train coming (1979) è una delle scelte più azzeccate: dura e attualissima nonostante le chitarre dal suono blues di Mark Knopfler della versione originale non siano così blues in quella rivisitata. La seconda, estrapolata da Blood on the tracks (1975), era già stata tradotta e incisa da De Gregori per la colonna sonora di Masked and Anonymous. Il cantautore, poi, l’ha praticamente reincisa rispettando l’intreccio di chitarre acustiche della versione originale. Il testo tradotto di Non dirle che non è così è, azzardo, il più bello dell’album. Tweedle Dum & Tweedle Dee è il pezzo meno datato e dal sound evidentemente più moderno, sia nella versione dei primi anni 2000 che in quella di De Gregori. Una differenza? Nel titolo, in cui il Dum e il Dee sono invertiti, nel testo della canzone, invece, l’ordine delle parole resta invariato. Le otto tracce rimanenti giocano molto su dove finisce la traduzione e dove inizia l’autocitazione. Un angioletto come te (Sweetheart like you), primo singolo estratto, recita ad esempio: “Vorranno tutti sapere qualcosa e se è stato difficile camminare sui pezzi di vetro e ritrovarsi qua”. Si potrebbe pensare a un’autocitazione, e invece no, è la traduzione quasi letterale di “You could be know as the most beautiful woman who ever crawled across cut glass to make a deal”. Al contrario in Come il giorno (I shall be released) vi è la traduzione meno letterale ma con il senso del pezzo non stravolto: era e rimane un inno alla libertà. Meritano citazione, poi, Via della Povertà (Desolation row), ripescata da un album di storie e personaggi, Highway 61 rivisited, per la prima volta tradotta in Italia da De Andrè che in fatto di canzoni/racconto rimane il maestro indiscusso. Poi ancora Dignità (Dignity) di cui già esistono molte versioni, e infine Mondo Politico (Political World) e Acido seminterrato (Subterreanean homesick blues). La prima per l’attualità del testo, la seconda per l’evidente capacità dell’autore originale di spaziare tra sound e generi musicali differenti e per l’abilità di De Gregori di rendere il testo allo stesso tempo moderno e socialmente attuale: “Vai vent’anni a scuola, non mollare, trovati un posto in un call center per mangiare”.
Ma per finire? Per finire a noi De Gregori in questa veste piace. Dopo un’illustre carriera, infatti, perché non sperimentare invece che proporre nuovi pezzi che magari non riescono a vincere la sfida del tempo? |