A periodi alterni, si disquisisce sullo stato di salute della musica rock. Già qualche anno fa, Sting e Paul Weller, ne hanno proclamato l’avvenuto decesso, eppure, di buona musica, se ne è continuata a sentire e il rock ha continuato il suo corso evolutivo. E’ vero, però, che da qualche tempo mancano le pulsioni innovative e forse, a questo punto, veramente è stato detto tutto e non c’è più nulla da inventare. Se così fosse, come nel jazz e nella classica, anche per il rock non rimane che la reinterpretazione, l’abbandonarsi alla libera espressione, ad uno stile svincolato da preconcetti e fatto di riferimenti. In questo i Motorpsycho sono all’avanguardia, dei veri fenomeni citazionisti, l’avevano già dimostrato nei precedenti lavori, ma mai come in questo album si sono lasciati andare al libero sfogo. Quattro lunghe e maestose suite, progressive, ma non nel senso comune del termine, nelle quali riescono a coniugare i Sonic Youth di “Daydream Nation”, gli Allman Bros, il kraut rock dei Can e i Grateful Dead. Così molto vicini al sublime. |